Mi accingo a varcare l'arco millenario, le luci s'abbassano, un'ultima boccata alla Camel ed ecco Will. Applausi. Sul piccolo palco ci sono solo lui e il giovane batterista. Il pubblico, un centinaio in tutto, si sistema attorno al principino come ad un falò, accovacciato sulle bianche chianche calcaree. Will dice "buonasera", versa della malvasia rossa nel bicchiere e parte: "I see a darkness". Un serpente ipnotizzato che insegue la musica fuori dalla cesta dell'incantatore, che si erge in alto, sin quando il peso non è più sostenibile per la porzione di corpo che lo regge, e torna a riposarsi nel tepore delle sue spire. Lui si muove così.
Will racconta: "nel mio paese non mangiamo i cavalli". Parte "Horses". Il suo italiano non è solo grazie e buonasera, ma frasi di senso compiuto: siamo già sotto il suo potere. La chitarra disegna paesaggi lontani ma famigliari, la voce rimbomba sulle pietre medievali in un alternarsi di rabbia e quiete, dolore e sollievo. Un altro bicchiere: "oggi non bevo sangue di Cristo, bevo sangue di San Giovanni". L'incantesimo ci tiene ormai sotto scacco, siamo ancorati all'umida rocca che domina il mare. Vertigini, il tempo getta la maschera e si rivela inganno, lo spazio cade sotto i colpi dello spirito universale che è la musica. Lui è il Master, noi Everyone.
L'apocalisse è prossima. Tutti l'avvertono ma nessuno sembra curarsene. Will conferma: "No Bad News", solo la fine di questa umana follia. E' l'epilogo. Le luci s'accendono. Will è scomparso o forse mai apparso. La gente è viva e parlante intorno a me, esattamente come un'ora e mezza prima, esattamente come un attimo prima. Esco dal fortino battuto dal maestrale ed accendo una paglia, ripasso nella mente i momenti appena trascorsi, non riesco a dargli forma, solo colore.
Will è uno straniero del mondo, un cantastorie alieno. La sua musica è solo un mezzo, un'arma nelle sue mani sottoforma di seicorde. E noi per una sera, concittadini senza terra, trafitti e felici, o forse ubriachi.
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