L'avevamo lasciato a "Small Craft On a Milk Sea", collaborazione estemporanea ed improvvisata con i fidi Jon Hopkins e Leo Abrahams (da anni sue spalle in sostituzione di Lanois, ormai stabilmente sui binari di carriera da neo-maestro della produzione musicale e non più da allievo) che aveva convinto fin troppo finché esplorava quei territori di cui Eno detiene controllo e corona (ambient e terre vicine), ma lasciava più di un dubbio quando si addentrava in certe selve oscure di difficile definizione (etnico-elettrofunk-tribali-drum'n'bass-glitch) che sembravano tanto un intrusione in un territorio che ad Eno non appartiene (e i due collaboratori non erano certo all'altezza per colmare le mancanze del nostro su quel tipo di musica).
Questo "Making Space", a dire il vero, risale a qualche mese prima dell'uscita di "Small Craft", ed è l'ennesimo di quel gruppo di CD registrati e composti come sfondo alle installazioni audiovisive, sulle quali il poliedrico artista si è incentrato di recente (in questo caso, la colonna sonora è per una mostra visuale di immagini, intitolata 77 Milion Paintings che il nostro porta nei musei da ormai 5 anni, e per la quale erano già usciti un DVD con immagini - disponibile su enoshop - ed un promo, 77 Milion, che già lasciava presagire a qualcosa di buono per un eventuale album completo). Ma, se i precedenti installations-CD erano sembrati stancanti esercizi di stile (eccezion fatta per un paio), qui siamo in presenza di un'autentica eccezione. "Making Space" è un disco ambient, interamente stavolta, anche se un pizzico di sperimentazione in più non manca e, dato il buon dosaggio col contagocce, riesce persino a far risultare Eno in grado, nel 2010 (data di uscita) di rinnovare la formula che aveva coniato nel '75 con "Discreet Music" e confezionato e redatto quattro anni più tardi con il primo "Ambient", lo storico e monumentale "Music For Airports".
Non fraintendiamo, "Making Space" non è l'album che rivoluzionerà né il genere né la carriera di Eno: è però, dopo una decina d'anni di stallo creativo (unica eccezione rappresentata da "I Dormienti") e variazioni su un tema ormai acclarato, che cominciava a diventare quasi stancante e a prendere la forma di una minestra riscaldata, un gran bell'album, dove quella formula è riportata ad uno stadio avanzato e rinnovata in molti punti, tanto da poter suonare ottimamente al passo coi tempi attuali. Di certo, però, tali tempi non li supera né li previene, ma da un ormai 65enne che i tempi li ha percorsi con decenni d'anticipo in tutti i '70 e gli '80, è lecito aspettarsi qualcosa che con i tempi si allinei: l'importante è che non sfiguri. E quest'album il suo figurone lo fa eccome.
Si parte con Needle Click, dove qualche timida percussione fa da sfondo ad una melodia di synth accattivante che ripete costantemente la stessa frase musicale (l'unica pecca del tutto è che quest'ultima suona leggermente jarrettiana). Giunge poi il carillon oscuro di Light Legs che si distende nuovamente nel ripetere la stessa frase prima di sfumare in Flora and Fauna/Gleise 581d, che ricorda tanto le collaborazioni con Fripp: un pianoforte, ancora una volta minimale in grande tradizione Eno-iana, con in sottofondo le chitarre trattate di Leo Abrahams (sì, c'è anche qui!); nella seconda parte del brano si aggiunge qualche nota di synth al piano. Il tutto è probabilmente un'iniziale demo che avrebbe poi portato alla produzione di due tracce per Small Craft (la title-track e la finale Late Apropheance). In New Moons, anch'esso probabile demo (le campane saranno le stesse utilizzate in Calcium Needles), è invece protagonista la chitarra di Abrahams ancor più dei synth, ridotti a fondale sonoro: è uno degli episodi più riusciti dell'intero album, ancora una volta nostalgico delle collaborazioni con il Re Cremise (un brano simile poteva spodestare gli altri se inserito in Evening Star). Vanadium è un altro trattato di fusione tra percussioni intimiste (stavolta drum machine) e linee di synth ambientali, ma lascia un po' tanto la sensazione che si tratti di un b-side, buono per le Curiosities: nonostante ciò non rovina in alcun modo l'atmosfera dell'album, ed è superiore anni luce a quanto ritrovabile in Small Craft. All The Stars Were Out è invece un altro episodio riuscitissimo: l'atmosfera dettata da un fondale elettronico con una melodia delicatissima suonata da un piano elettrico: siamo in presenza del miglior Eno dagli '80, in particolare melodicamente. Hopeful Timean Interseet è il brano ambient per eccellenza: potrebbe benissimo essere stato estratto dalle sessions di Plateaux of Mirror, con l'aggiunta di un Abrahams alla chitarra trattata che pure qui sembra esattamente la copia cartone di Fripp (senza il suo stile caratteristico). World Without Mind prosegue sulle stesse sonorità del predecessore, risultando forse un po' meno immediato, ma sempre di grandissima atmosfera. Si chiude, poi, con il capolavoro assoluto: s'intitola Delightful Universe (seen from above): partenza atmosferica à-la 2/1 di Airports, per poi proseguire in un crescendo progressivo che introduce una miriade di synth sovrapposti, un organo elettronico, ed infine un coro sintetico: è un vero e proprio inno all'innovazione della formula-Eno, riuscitissimo, forse l'unico episodio dell'album che preannunci i tempi, e probabilmente uno dei brani più belli di sempre del Nostro.
In conclusione, da quest'album si può dedurre che coloro che temevano la morte precoce del genio creativo di Eno si sbagliavano di grosso: certo, dopo anni passati da innovatore, il testimone l'ha lasciato (a chi, a onor del vero, purtroppo non si sa, visto che di innovatori nella musica d'oggi non ve ne sono quasi più, e i pochi che ci sono centrano il primo e a volte il secondo album per poi perdersi nel vuoto creativo), ma, se tirato al massimo delle sue possibilità, il nostro è ancora oggi in grado di fornirci album illuminanti e al passo con i tempi che lui stesso ha precorso e percorso; in un buon album, infine, è ancora in grado di azzeccare un brano che risplende di luce propria e nuova. Peccato che questa tiratura al massimo sia ormai un episodio più unico che raro, ma quando c'è, godiamocela. Consigliato a tutti: amanti del genere, amanti di Eno, amanti dell'elettronica in generale; non fatevi ingannare dal fatto che sia soundtrack di un installazione, si tratta lo stesso di un ottimo album (con, non smetterò di sottolinearlo, un brano finale da capogiro) e del migliore di Eno dai tempi, forse, di Neroli (che pure non m'era piaciuto granché).
Nota tecnica: l'album è in vendita in edizione limitata solo sul sito del museo che ha ospitato l'ultima delle installazioni di Eno (77 Milion Paintings), il Lumen London. Vi verrà spedito a casa con tanto di cartoline raffiguranti alcune delle più significative tra le opere visuali di Eno (bellissime, tra l'altro).
Voti in decimi: 7/10 a tutto l'album, 9/10 a Delightful Universe; VOTO COMPLESSIVO 8/10.
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