Suoni fuori posto,

ovvero come catturare la tigre di montagna con la strategia obliqua

Che Brian Eno fosse un genio l'avevamo già capito dai tempi dei Roxy Music e dal modo in cui reinventava il loro suono alle spalle di Bryan Ferry. Avvenne poi che proprio Ferry ebbe a noia quel movimento alle spalle e dopo varie e furiose litigate invitò Eno all'uscita d'emergenza, cosicchè i Roxy Music non furono più gli stessi e il genio dell'elettonica si incamminò non da solo, ma in buona compagnia (Phil Collins, Phil Manzanera, Robert Wyatt ed Andy MacKay furono con lui) verso una strada che lo portò ad un rinnovamento artistico più importante di quanto mai fecero i Roxy negli anni seguenti. Quest'uomo ha il merito (e la colpa) di aver "inventato" la musica ambient ed aleatoria, ed è per dischi come "Music For Airports" o "Discreet Music" che viene ricordato, ma prima di "annoiarci" con lunghe suite strumentali e sperimentazioni più o meno ardite, e soprattutto prima di produrre gli U2, ha pubblicato una tetralogia "rock", se così si può definire (e non si può) che affronta in modo speculativo e personale i vari generi che dal glam portano all'ambient.

Oggi parliamo di "Taking Tiger Mountain (By Strategy)", secondo album solista di Eno, uscito nel 1974. L'elemento rock è ancora ben presente ma viene ridicolizzato di continuo e Eno utilizza tutti gli strumenti a disposizione per ironizzare sulla sua funzione: le canzoni continuano a sfuggire da una struttura fissa, siamo sorpresi dalle improvvise entrate di cori e ispirazioni sinfoniche, i sintetizzatori lavorano in modo preciso su chitarre slide... questo è solo parte di ciò che potremo trovare nelle dieci canzoni. La voce di Eno è la prima cosa che continua a cambiare: prima è altissima ("Back In The Judy's Jungle"), poi tombale ("The Great Pretender"); se in alcuni brani abbiamo movimenti solenni e d'ispirazione orientale ("The Fat Lady Of Limbourg", "China My China"), in "The Third Uncle" ci troviamo frastornati da un punk incendiaro e robotico. In un solo disco ci spostiamo dalla ninnananna di "Put A Straw Under Baby" al valzer sintetico di "Put A Straw Under Baby" e ancora alla dolcezza corale... sempre di "Put A Straw Under Baby"! Secondo logica potremmo dire che il messaggio di Eno sia quello che il pop-rock come lo conoscevamo sta terminando le sue funzioni vitali e che l'unico modo per dargli energia è infondergli la linfa dell'elettronica e dello sconvolgimento compositivo e metodico (le cosiddette strategie oblique)... ma viene da chiedersi se dopo il trattamento si tratta ancora di rock. Il recensore e il critico non si deve assumere la responsabilità, e l'arroganza, della risposta: ci pensa già l'artista inglese con "The True Wheel", brano che riassume tutte le sonorità e le suggestioni dell'album. Sappiamo di essere ad una svolta.

Diventa inutile parlare di tutto ciò che precede e segue il lavoro di Eno (l'iconoclastia punk, il tecnicismo prog, il disimpegno dance, il minimalismo ambient e la collaborazione con Bowie ed Iggy Pop) quando tutte le domande e le angosce di questo panorama musicale di estremi cambiamenti sfumano nella leggerezza pianistica di "Taking Tiger Mountain", la poesia zen che chiude questo capolavoro. Se con "tigre di montagna" intendiamo qualcosa come un'immaginazione embrionale, che ancora non esiste, e non intendo una chimera e un'utopia, ma che realmente può esistere ed esisterà e si trasformerà, allora possiamo dire che l'eccentrico Brian Peter George St. John le Baptiste de la Salle Eno con le sue strategie oblique ha catturato questo qualcosa in una rete che sfugge ad ogni definizione ed incasellamento musicale.

daPut A Straw Under Baby"
"Let the corridors echo,
As the dark places grow
Hear Superior's footsteps
On the landing below.
There's a place in the orchard
Where no-one dare go
The last one who went there
Turned into a crow

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