Ci sono canzoni che nascono al caldo, stazionano sulle spiagge e muoiono a settembre e altre che viaggiano oltre gli anni e le stagioni, con un senso di vuoto difficile da colmare. Veniamo al mondo con gli enzimi della felicità ma spesso sprovvisti degli anticorpi al dolore.
Ho abbandonato il letargo invernale per espormi senza protezione allo struggente cielo d'agosto, ritrovando i sentieri perduti che portano al mare. Per una nuova e ultima volta ho provato ad amarti, ma l'esplosione di blu mi ha travolto e annegato.
Bruno ha sempre rifiutato di divenire un personaggio per rimanere una persona.
Una persona semplice. Attende paziente, in quello spazio di buio dove la notte è un passo breve tra due lingue di fuoco, il suo tempo cortese, il battito regolare della sua vita al risveglio. Lo ritroveremo nuovamente seduto davanti un luccicante Steinway piuttosto che sotto l'ombrellone. Perchè lui l'estate, come me, non la ama. L'estate è per chi ci crede, un posto caldo dove elaborare i ricordi che fanno male, troppo caldo da gelare il cuore.
Ho camminato in silenzio sulla battigia lungo l'inverno, riscoprendo quel sapore adulto di nostalgia attraverso un tempo che sfugge a se stesso. Stretto nel mio cappotto, assorto in improbabili letture di romanzi pulp, ho atteso senza fretta, come una sentinella, il suo arrivo per poi dileguarmi come un afflato sfuggente, un attimo prima. Un attimo prima del sole. Un attimo prima del caldo. E un attimo dopo orde di conquistatori hanno piantato ombrelloni come astronauti sbarcati sulla luna. Si, odio l'estate.
Baci perduti, amori passati, sole e tramonti. Brighetti bisbiglia parole ad un foglio bianco e Martino compone un jazz ignaro di un futuro promesso all'Olimpo degli Standard.
L'estate danza con una gonna a fiori in campi di grano e nei baccanali festanti in riva al mare dal profumo di luppolo e anguria.
Il dopoguerra è un ricordo lontano e il boom economico un eccitato biscazziere. Lo stivale ha voglia di frivolezze e brama tintarelle di luna, vagando tra papaveri e papere.
Martino, una gran bella persona, equilibrata e pacata, conduce un auto contromano nella torrida estate del '60. Un rivoluzionario senza armi ma armato fino ai denti di malinconia e disillusione, pronto a condannare quell'estate che l'ha sedotto e abbandonato un'altra volta, un'ennesima, l'ultima. Ma un apologo troppo amaro per un periodo allevato a pane e leggerezza è condannato a rimanere relegato nell'oblio, perso lungo la via per il mare, impegolato nelle steppe della macchia.
Oggi non mi sento più prigioniero di una stagione antica ma di un presente straniero. Il tempo ha disatteso le sue promesse, consegnandomi una cesta colma di nostalgia. E mi mancano l'odore della miscela nei motorini, l'effluvio di bagnoschiuma sulla pelle tersa al bagliore di luna, la salsedine dopo il bagno e le lucciole nelle notti, scomparse per sempre sulla via delle terme.
L'estate è un grande inganno, ti uccide nell'attimo in cui senti di non poterne più fare a meno, impigliato e impotente nelle maglie dei suoi ricordi.
Bruno scruta l'orizzonte, quella linea suggestiva tra il cielo e il mare, ora nel suo campo visivo, domani tra i ricordi e si ritrova nuovamente seduto davanti al suo Steinway mentre intona in punta di voce e con gentilezza il suo disappunto, un attimo prima del sole, un attimo prima del caldo, cristallizzato per sempre in una melodia troppo amara e bella per morire, come tante altre, in una spiaggia di settembre.
Tornerà un altro inverno, certo,
ma quest'estate non la dimenticherò più.
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