E' l'autunno del 1996: i Brutality danno alle stampe il terzo ed ultimo lavoro registrato negli storici "Morrisound Studios" della loro città di provenienza, Tampa in Florida; un disco prodotto benissimo dallo stesso gruppo, con il necessario aiuto di Jim Morris autentico mostro sacro e Re Mida del genere. Un'avventura musicale iniziata sul finire degli anni ottanta che ha prodotto due anni prima, nel 1994, il loro indiscusso capolavoro "When the Sky Turns Black" per il sottoscritto uno dei vertici di tutto il Death Metal.
La situazione all'interno della band non è delle migliori: le registrazioni si preannunciano difficoltose, complice anche il cambio improvviso nella line-up di entrambi i chitarristi. Il titolo stesso del disco "In Mourning", "In Lutto" in italiano, sembra presagire una fine ormai annunciata; ed è la stessa casa discografica tedesca "Nuclear Blast" ad abbandonare al proprio destino i ragazzi al termine dell'ennesimo estenuante tour promozionale che non sarà soddisfacente per quanto riguarda l'introito economico, come del resto le modeste vendite dello stesso disco. Ma nonostante le negatività l'album non risente affatto del clima nerissimo: il tutto si snoda attraverso nove mortiferi brani, per una durata complessiva che supera di poco i 47 minuti. Copertina e logo della band del tutto "normali", non presentando quelle tipiche efferatezze per il genere suonato dalla band; possiedo la prima edizione dell'opera, acquistata al momento dell'uscita in quel luogo di culto che era per me il negozio "Mariposa Duomo" di Milano, e la confezione in plastica del cd presenta un atipico colore arancione che rende più misterioso e personale l'impatto del disco alla vista.
Per quanto riguarda il sound dei Brutality, in questo loro degno epitaffio sonoro, esso conserva tutte quelle importanti caratteristiche che da sempre hanno contraddistinto il gruppo: una abilità tecnica e compositiva di tutti i musicisti, con una mia personale nota meritoria al batterista Jim Coker autore di un drumming malsano, forsennato, ricco di continue variazioni tempistiche sempre in totale controllo: una macchina da guerra. Per quanto riguarda i chitarristi, Dana Walsh e Pete Sykes, sono due asce micidiali, in grado di fornire una prestazione pesantissima a livello sonoro, grazie a continui assoli e riff portanti di matrice heavy-doom, che poi improvvisamente lasciano spazio ad accelerazioni brutali (perdonatemi la citazione) per ripiombare subito dopo in territori cupi e oppressivi, rendendo l'ascolto delle singole canzoni un vero e proprio tour di force di immane ma controllata potenza. Con la voce di Scott Riegel che è un growl primitivo bestiale, a tratti esasperato, capace di rendere ancor più accentuato l'alone di nera malvagità che si ricava dall'ascolto del disco.
Un album che non conosce pause, non contenendo quei sublimi passaggi strumentali acustici che erano invece caratteristica in alcuni brani del precedente lavoro: è questo a parer mio l'unico difetto di un disco fin troppo omogeneo nella sua straripante violenza. Ed è il drumming "militaresco" di Jim ad aprire il primo brano "Obsessed" lasciando il posto ad un assolo di chitarra che mette da subito in risalto tutte le peculiarità di un suono così particolare ed unico; è la volta dell'emblematica fin dal titolo "Waiting to be Devoured" che si apre in modo lento, ferale, proseguendo in questo modo per tutta la sua durata, lasciandoti letteralmente a pezzi e creando quel senso di pesantezza opprimente ed angosciante. Non esiste un attimo di tregua nell'ascolto e si arriva in questo modo alla title track, che ricorda nel sound i Morbid Angel più controllati, per poi esplodere negli ultimi secondi con una violenta virata verso lidi più consoni alle classiche accelerate Death Metal...e la mia mente a questo punto non può che rimandarmi all'indimenticabile band del compianto Chuck Schuldiner.
Si prosegue subito dopo con l'interminabile, oltre otto minuti!!!, "Subjected to Torture" dal cui titolo è facile immaginare il contenuto dell'efferato testo; un brano che è un immane macigno che sembra non finire mai, tra continui cambi di tempo ed assoli di chitarra, vere rasoiate che scavano profonde ferite nell'animo dell'ascoltatore: del resto si parla di tortura!! Ed infine si giunge esausti alla fine con "Extinction" un altro lungo brano che presenta ancora una volta la capacità della band di plasmare un suono contorto, macilento, confermando la grandezza di un gruppo troppo presto dimenticato, purtroppo.
Un disco che non raggiunge i livelli del suo predecessore, ma per gli amanti del genere è da me consigliatissimo. Nello scorso anno i Brutality si sono riuniti con la formazione originale per registrare un ep di due brani; e sembra profilarsi all'orizzonte un nuovo lavoro in studio entro la fine di quest'anno. Attendo fiducioso sviluppi, anche se come sempre queste reunion dopo tanti anni mi lasciano dubbioso e perplesso.
Ad Maiora.
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