Il ricevimento è programmato per le ore 20.00, puntualmente gli austeri cancelli in ferro battuto si apriranno con leggera discrepanza, ma tanto, dei convitati ancora nessuna traccia. Mr & Mrs Smith arriveranno per primi alle 20.45 e poi cosi di seguito i Lancaster, i Godan, gli Stills.. Usi e costumi di società lontane soprattutto in senso verticale..

Alle 21.00 tra le rigorose geometrie di un giardino all’italiana sarà servito l’aperitivo, giusto in tempo per godere gli ultimi chiarori di una serata di luglio. Mentre solo il canto dei merli orla la sera celeste, nel parco un inserviente annuncia che Miss Otis deve rinunziare e non potrà desinare con i convenuti, questa sera “non è in vena e non ha appetito”, che si vuole, i malanni dell’aristocrazia.. I rami degli alberi trafiggono il cielo sempre più blu e notturno, i merli non sono che un ricordo perduto in fondo ai rumori del parco o all’ amore di qualcuno, si odono solo grilli dalle distese inerbite e molte lucciole attorno alle fontane si scorgono, dietro alle siepi di bosso i signori Granwood litigano e si dicono parole ch’è meglio altri non sentano.. “lasciami o ti tradirò, amami o scapperò”…

Con un drink tra tre dita il figlio dei Lancaster, sotto ad un verdeggiante bovindo, parla con le collegiali di quanto sia “facile la vita” dell’aristocratico, beffandosi di chi si cruccia inutilmente, ma un uomo solo non di lontano lo ascolta e lo guarda dai folti sopraccigli con sguardi interrogativi, poi china gli occhi, si chiude in sé, osservando le proprie mani ed il tempo trascorso. Qualcheduno canticchia tra i viottoli di ghiaino colorato e attira la curiosità di certe matrone in abiti serali e ventagli di struzzo, che intanto affogano i loro desideri in ricchi bignè di crema, costui è pazzo d’ amor e all’ incontro con l’ amata si produce in inchini e in un dolce apprezzamento “per quanto è bella signorina questa sera, mi accontenterei d’essere un suo guanto..
L’umidità cala con la sera ed alle 22.00 si aprono le porte della sfarzosa villa Otis, affreschi e marmi si intervallano per lunghi ed ampi corridoi ben illuminati, sino al salone dei balli, dove tutto è pronto per il grande convivio. Ecco inviti e premure, bon ton, cotillon, smancerie che si sprecano che si rincorrono che sono false, e sono perfide, nell’ approssimarsi ai tavoli si apre il rosso sipario in fondo al salone e tutto questo scompare, solo grandi portate al ritmo di una musica che pervade ogni antro del salone. In fondo, piccolo piccolo un cantante e la sua orchestrina provenienti dalla Londra più dandy suonano del malincuore di dolci signorine, degli amori passati e di quelli traditi.

Il cantante nella sua aurea distratta, appoggiato ed evanescente, canta con voce di gommalacca i brani più in voga in quell’eterea stagione. La voce è leggerissima, l’orchestrina suona come velluto e la sala mentre s’annega nei vini e s’abbuffa, ingorda, di pietanze e musica si domanda chi costui mai fosse.. A Voi lo dico io, quel “costui” era Bryan Ferry e quel concerto di un epoca lontana è il contenuto di questo disco chiamato significativamente “As Time Goes By”.
Eravamo pochi giorni or sono a disquisire degli innumerevoli American Songbook di Rod Stewart, dove quest’ ultimo riproponeva gli standard statunitensi più famosi, ecco, questo disco di Bryan Ferry riassume quelle quattro stanche raccolte in un solo disco, uscito con discreto anticipo rispetto ai suoi cloni, ben ideato e realizzato, arrangiato alla Teddy Wilson, forte di interpretazioni dallo stile semplice e, per l’appunto, molto dandy.

I Roxy Music lasciarono alla storia musicale del secolo scorso una grande eredità. Come sempre è in questi casi, il ritorno in solitaria di una delle componenti della band fa sospettare rilanci commerciali e scatena pregiudizi, spesso anche infondati. Per evitare la solita querelle Ferry, da curioso ricercatore di suoni qual è, ha deciso per il suo decimo album solista di gettarsi tra i grandi classici della storia musicale americana e distaccarsi dai suoi noti precedenti. Dopo la trilogia di album solisti dedicata ai suoi ispiratori (These foolish things, Another time another place e Let’ s stick together) ed il successo di altri album inediti (Boys and Girls, The bride stripped bare, Mamouna.. suggerisco tra questi la sensuale recensione di Girls and boys fatta da mariaelena e presente su De-Baser, che vi farà venire “voglia”.. non so se di ascoltare il disco..). Ferry arriva a quest’album come maturo ricercatore che per passione ricompone nel suo personalissimo stile delle perle di romanticheria swing, ricollocandole nell’originale immaginario da Dolce Vita.

Il disco suona fresco nonostante riproponga le atmosfere retrò di quegli anni.. Ferry come un recitante sensuale e raffinato si adopera in tutta la sua gentile maniera e interpreta e canta e si strugge tra i malanni di cuore di quell’Inner Circle statunitense che oggi non v’è più.. Non è certo mio compito valutare il contenuto molto “classico” di questo disco. Detto questo, le quattro stellette si giustificano come voto alla realizzazione, ovvero alla scelta dei brani da eseguire, all’interpretazione degli stessi e alla qualità in generale del disco.

Di lezioni di storia ne servirebbero di più, soprattutto quando ben realizzate.

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