GLI ALIENI SONO TRA NOI
Finalmente venerdì! Rientro a casa bello carico e, come al solito, mi metto comodo, passo dalla cucina, tiro fuori dal frigo una Ceres per andare in sala ed ascoltare un paio di vinili. Entrando vedo due strane creature sedute ai lati estremi del divano. Oddio sedute, meglio dire accucciate: hanno le dimensioni del mio gatto ma sono tutta testa con un corpicino minuscolo. Non so per quale sortilegio spaziale non ho paura, mi sembra tutto molto naturale, anche perché le creature mi tranquillizzano parlandomi come vecchi amici. Proprio così, mi pare di stare con due amici d’infanzia che non vedo da anni ma con i quali ritrovi subito il feeling dei tempi della scuola. Tiro fuori altre due birrette e le metto sul tavolino, gli alieni srotolano una specie di tromba stile farfalla dalla piccola fessura che hanno sotto gli occhi e la immergono nel liquido giallo e fresco.
Iniziamo a dialogare, mi raccontano delle grandi conquiste del loro genere, di come abbiano raggiunto livelli di tecnologia tali da renderli liberi da ogni obbligo per il sostentamento dell’intera specie. Ciò che li ha spinti a venire sulla Terra è quello che loro stessi definiscono un paradosso: non capiscono come, nonostante siamo prossimi all’estinzione, le nostre esistenze siano migliori della loro. Il tutto deriva dal fatto che vivono emozioni rozze e hanno recepito che ciò che ha reso così emotivamente evoluti gli umani è l’arte. Con l’intelligenza sconfinata di cui sono dotati non hanno avuto difficoltà a comprendere ciò che intendeva Dostoevskij con la nota frase “La bellezza salverà il mondo” e stanno indagando tutte le arti. Mi dicono che hanno meno problemi con pittura, scultura, architettura, e così via. Però la musica no, proprio non capiscono. Forse per questo mi chiedono, dato che sanno tutto di me, di fargli ascoltare un album che è l’emblema del Blues (furbi alieni, eh eh eh, proprio il Blues!), penso solo per studiare le mie emozioni.
Vado in cucina e prendo altre tre Ceres rimuginando su cosa proporre: “King of the Delta Blues Singers” di Robert Johnson no, vorrei qualcosa di elettrico, “Live At The Regal” di B.B. King? “Muddy Waters At Newport”? Forse è bene proporre qualcosa che sia chiaro fin dal titolo, allora cosa meglio di “Buddy Guy & Junior Wells Play The Blues”!
Metto su il vinile, mi accomodo tra i due mostriciattoli e chiudo gli occhi per gustarmi uno dei mei LP preferiti, noncurante della loro presenza. La puntina scorre e passa in rassegna cover e inediti suonati da dio. Beh, in effetti colui che aveva tale alias per le doti chitarristiche, Eric Clapton, è presente quale coproduttore ma, come il religioso accosta il pane con mistico rispetto, si “limita” a suonare (da Dio, ovviamente) la chitarra ritmica e la bottleneck, lasciando la solista a Buddy Guy. Buddy Guy, l’unico superstite della scena del Blues elettrico di Chicago che vive tale condizione come una missione. Con l’amico, cantante e armonicista, Amos (Wells Blakemore Jr.) si conoscono dal 1958, quando, appena arrivato a Chicago, gli dà la paga durante una competizione musicale e con il quale forma un duo ispirato forgiato negli studi e nelle sale da ballo dei circuiti chitlin’. Si ritrovano nel 1970, poi di nuovo nel 1972 per registrare questo capolavoro dalla genesi complicata ma incredibilmente compatto che scorre via così bene che quasi mi dimentico degli alieni. Ogni tanto apro gli occhi e li vedo osservarmi con quella che penso sia un’espressione interrogativa. Sarò per come mi agito sul divano torcendomi come un bombolone siciliano, suonando chitarre immaginarie, battendo tamburi che esistono solo nella mia mente, facendo il muso di gallina in mutissimi uuuuuu. Quando, su loro richiesta, elenco i musicisti convocati agli ospiti spaziali, ho dei mancamenti, sarà anche perché, girando il vinile, ho aperto altre tre Ceres precedute da tre shot di Jack Daniel’s. Però i nomi sono veramente da vertigine: il sassofonista A.C. Reed, i tastieristi Mike Utley e Dr. John, i bassisti Leroy Stuart e Carl Radle, i batteristi Roosevelt Shaw e Jim Gordon e …
Finito l’album se ne vanno senza salutare, sgattaiolando dalla finestra, ovviamente del bagno. Li vedo fluttuare nell’aria dandosi testatine come fa con me il mio Ziggy quando gli servo la pappa preferita. Mahhh, forse ho sognato! Però …BREAKING NEWS: Decodificato messaggio proveniente dallo spazio. In Italiano con cadenza meridionale enigmaticamente recita: “Non abbiamo capito una minchia, però torniamo. Metti le birre in fresco”.
Buddy Guy & Junior Wells Play The Blues
- A Man Of Many Words
- My Baby Left Me (She Left Me A Mule To Ride)
- Come On In This House / Have Mercy Baby
- T-Bone Shuffle
- A Poor Man's Plea
- Messin’ With The Kid
- This Old Fool
- I Don’t Know
- Bad Bad Whiskey
- Honeydripper
Bass – Carl Dean Radle* (tracce: A1), Danny Klein* (tracce: B2, B5), Leroy Stewart
Drums – Jim Gordon (tracce: A1), Roosevelt Shaw, Stephen Bladd
Electric Guitar [Lead, Rhythm] – Buddy Guy
Harmonica – Junior Wells, Magic Dick (tracce: B2, B5)
Organ, Piano – Mike Utley*
Piano – Dr. John (tracce: A1), Seth Justman (tracce: B2, B5)
Producer – Ahmet Ertegun, Eric Clapton, Michael Cuscuna (tracce: B2, B5), Tom Dowd
Recorded By – Richard Oulleppe (tracce: B2, B5), Ron Albert
Rhythm Guitar – J. Geils (tracce: B2, B5)
Rhythm Guitar, Slide Guitar [Bottleneck] – Eric Clapton
Tenor Saxophone – A.C. Reed
Vocals – Junior Wells
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