L'importante lascito del cosiddetto british rockblues, forgiatosi a cavallo fra gli anni sessanta e settanta, annovera assoluti protagonisti della storia della musica (Led Zeppelin e Rolling Stones su tutti), gente che ha non solo innervato con trascinante spinta rock la lezione blues di base, ma ha saputo andare molto più in là condendo ulteriormente l'esplosiva miscela con una serie di spezie eccitanti (il folk, il country, la psichedelia, il progressive, le scale mediorientali, la lezione dei Beatles e di Dylan...) così aumentando a dismisura fascino, appeal, universalità e alfine commercialità del tutto.

Insieme con questi e altri "big" ha cavalcato il medesimo stile musicale tutta una serie di ottimi gruppi, notevoli dal punto di vista della preparazione, della grinta, della sincerità e generosità di approccio ma non abbastanza eclettici, aperti, in definitiva geniali sì da poter conquistare le masse, rimanendo confinati agli addetti ai lavori ed agli appassionati del genere. Mi riferisco a formazioni quali Groundhogs, Jeff Beck Group, Canned Heat, Taste, Humble Pie... nonché ad una serie di loro epigoni americani a nome Jonny Winter And, Mountain... nonchè questi misconosciuti Cactus, la cui genesi merita di essere un attimo inquadrata.

All'inizio del 1970 si scioglievano i newyorkesi Vanilla Fudge, gruppo tra più influenti in quel momento sulla piazza. Specie di Dream Theater ante litteram, erano in quei giorni il massimo punto di riferimento in quanto a virtuosismo tecnico e spettacolarità esecutiva, non completati peraltro da adeguata personalità e talento compositivo. La loro quotatissima sezione ritmica, formata dal batterista Carmine Appice e dal bassista Tim Bogert, progettò allora di unirsi ad altri due fuoriclasse, il chitarrista inglese Jeff Beck ed il cantante scozzese Rod Stewart, con l'idea di metter su un gruppo anglo americano di massimo livello, in grado di rivaleggiare con i rampanti Led Zeppelin, dominatori della scena in quel periodo e nuovo punto di riferimento per tutti.

Un incidente d'auto occorso a Beck, costringendolo a tenersi per molti mesi fuori dal giro, mandò all'aria l'accordo facendo ripiegare i due musicisti americani verso due connazionali, bravi ma molto meno affermati, il chitarrista Jim McCarty ed il cantante e armonicista Rusty Day. L'album "Cactus" uscì alla fine del 1970, con questa copertina vagamente fallica, derivata da quella originalmente proposta alla casa discografica e subito bocciata, in ragione che alla base del tronco allungato di cactus stavano solo due escrescenze tondeggianti...

Il disco rivela i Cactus come un gruppazzo hard rock blues granitico, rumoroso e soprattutto senza la minima sfumatura, né progressive né pop né psichedelica né jazz né... niente, e questo malgrado il passato prossimo assai più barocco e pretenzioso dei due ex-Vanilla Fudge. Il tiro devastante, l'energia e l'abilità tecnica, la coesione e il divertimento reciproco si ostinano qui su un disegno il più asciutto e circoscritto possibile, nel quale il blues dei neri viene velocizzato, alzato di volume, riempito di note e di potenza dai bianchi per poter essere riversato, dal palco o dallo stereo messo a palla, verso orecchie desiderose di stupirsi, di stordirsi, di lasciarsi sopraffare.

Nella gola di Rusty Day le decine di migliaia di sigarette e gli ettolitri di alcool hanno fatto a dovere il loro lavoro: la sua potente raucedine sovrasta senza fatica il frastuono degli amplificatori e gracchia il blues estremo del gruppo con la ferocia di una iena e la totale mancanza d'ironia di un invasato. Spesso e volentieri la sua armonica si sfoga sopra il ritmo portato dagli tre suoi compagni, sostituendosi alla solista di McCarty. Gran bel "manico" questi, creativo ed incisivo nei ristretti meandri della pentatonica blues ma con personali variazioni e bei guizzi. Ogni volta che l'ascolto penso che gli sarebbe dovuta toccare una carriera più brillante.

L'ancor giovane Appice pesta duro per tutto l'album, come sempre farà anche per il resto di carriera, tanto che in alcuni passaggi sembra proprio John Bonham... ma bisogna tenere le cose nella loro giusta prospettiva: fu infatti il mitico Bonzo, in occasione della prima tournée americana nella quale i Led Zeppelin aprivano per i Vanilla Fudge, a carpire parecchi trucchetti ritmici da Carmine, e se è vero che l'allievo in questo caso ha superato (di brutto) il maestro, è Appice a potersi considerare uno degli ispiratori dello stile inimitabile di Bonham e non certo il contrario.

L'occhialuto e volitivo bassista Tim Bogert è un vero antesignano di quei musicisti molto busy, trafficati come dicono gli anglosassoni, che non riescono a starsene fermi e, assistiti da una destrezza fuori dal normale e da una creatività melodica degna di un cantante, condiscono le loro performances con infiorettature e contrappunti talvolta geniali, talvolta ingombranti, sicuramente sempre spettacolari. Insomma, Tim era il Jack Bruce americano di quegli anni, riconosciuto ispiratore dei virtuosi tipo Billy Sheenan e compagnia che verranno.

Per riassumere, Cactus è stato un gruppo più bravo e potenzialmente valido dell'effettiva musica da esso prodotta, autoconfinata ad un genere troppo roccioso e ortodosso, senza appigli melodici e concettuali tali da allargare un poco i suoi orizzonti e garantire contratti discografici duraturi. Dal vivo dovevano essere una bomba, ci sono devastanti registrazioni che lo dimostrano. In particolare, sul triplo lp/doppio cd "Isle Of Wight/Atlanta Pop Festival" partecipano eseguendo il blues "Don't Need To Worry" ed il rock anfetaminico "Parchman Farm" (contenuti nelle versioni in studio proprio in quest'album) e tirano da paura, col pubblico che alla fine va fuori di testa e si spella le mani.

Dopo quattro dischi sparati fuori nel giro di tre anni (l'ultimo di essi con un nuovo chitarrista) tutti a casa, con Carmine e Tim che subito dopo coronarono il loro sogno di suonare col grande Jeff Beck... peccato che Rod Stewart avesse a quel punto preso un altro treno per il successo (i Faces) e soprattutto che i tre avessero deciso di fare a meno di un cantante. Risultato: un vero buco nell'acqua, ma questa è un'altra storia.

Elenco tracce testi samples e video

01   Parchman Farm (03:07)

Well I'm sittin' over here on Parchman Farm
Well I'm sittin' over here on Parchman Farm
Well I'm sittin' over here on Parchman Farm
And I ain't never done no man no harm

Well I'm puttin' that cotton in an eleven foot sack
Well I'm puttin' that cotton in an eleven foot sack
Well I'm puttin' that cotton in an eleven foot sack
With a twelve guage shotgun at my back

I'm sittin' over here on Number Nine
I'm sittin' over here on Number Nine
Well I'm sittin' over here on Number Nine
And all I did was drink my wine

Well I'm gonna be here for the rest of my life
I'm gonna be on this farm for my natural life
Well I'm a gonna be here for the rest of my life
And all I did was shoot my wife

I'm sittin' over here on Parchman Farm

02   My Lady From South of Detroit (04:26)

03   Bro. Bill (05:12)

People said it was cocaine
People claimed it was gin
I know the girl and the [dew-house] man
That done my brother in

Chorus
They put the last clean shirt
On my poor brother Bill
They put the last clean shirt
On my poor brother Bill

They found him in the back seat
Of an old abandoned Ford
[Catch] the hand of my brother Bill
It was a stiff as a running board

[chorus]

The preacher said, he's gone now
Gone to another place
They lowered him down into the ground
I felt a tear trickle down my face

[chorus]

The preacher said, he's gone now
Gone to another place
They lowered him down into the ground
I felt a tear trickle down my face

[chorus]

04   You Can't Judge a Book by the Cover (06:31)

05   Let Me Swim (03:51)

06   No Need to Worry (06:14)

07   Oleo (04:51)

08   Feel So Good (06:04)

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