Alla scopertà del Death metal dimenticato, capitolo II. Tra i pionieri del Death metal che nessuno vi citerà mai parlando di questo genere musicale ci sono poprio loro, gli inglesi Cancer, che esordirono nel lontano 1990 con il mitico (in senso stretto) “To The Gory End”.

I Cancer, come dicevo, assolutamente bistrattati da fan e critica, sono da poco tornati sulle scene con “Spirit In Flames”, malvenuto revival dei tempi d’oro che preferisco non trattare in questa sede. Perché nonostante quest’ultimo capitolato capitolo (“i miei amici mi chiamano Joker lo scherzoso”), i nostri hanno contribuito a scrivere tra le più pure pagine di intonso Death Metal. Se qualcuno vi dicesse che sono i fratelli europei degli Obituary non gli si potrebbe dare torto; e difatti non solo il loro sound è estremamente simile a quello del celebre complesso floridiano, ma tra le loro file ha militato nientemeno che il baronetto James Murphy. Per chi non lo conoscesse farò un breve excursus biografico: il nostro buon Giacomo è uno dei chitarristi da sempre più apprezzati del genere perché ha sempre saputo esprimere delle ottime doti tecniche senza rinunciare ad un attitudine molto Metal e ad un gusto per gli assoli tipicamente ottantiano. La sua fama e il suo talento sono cresciuti a tal punto da fargli arrivare proposte da tutte le band Death dell’epoca; i Death (su “Spiritual Healing”), gli Obituary, i Testament, i Cancer, i Disincarnate, i Gorguts (presenzia su “Considered Dead”) per finire con un ambizioso progetto solista.

Diciamo che per chi conosce e ama il sound del Death vecchia scuola questo nome dovrebbe essere una garanzia e così anche per chi ama sentire una chitarra suonata come Dio comanda; e comunque, anche per chi odiasse questo tizio, è innegabile che sia un gran musicista e che abbia fatto la storia del Death Metal soprattutto considerando che non ha mai considerato le band in cui ha suonato dei “Side Project” ma che la contrario ha sempre dato il meglio di sé in tutte.

Ma torniamo al nostro “Death Shall Rise”; il contenuto del cd si potrebbe, senza timore di cadere in errore come in altri casi potrebbe accadere, ridurre ad un’attenta osservazione della copertina. “Death Shall Rise” è affettatamente macabro, è costruito per spaccare i timpani e dare spettacolo, è concepito con un approccio da palcoscenico ed è Trash oltre che Thrash (un’altra di queste freddure e uccidetemi, vi prego). A partire da titoli come “Hung, Drawn And Quartered” (canzone culto) ci si riesce perfettamente a calare in un atmosfera estremamente ludica e spaccona. Il sound è ancora molto debitore al Thrash degli anni ottanta ma, come è ovvio, è incattivito ed estremizzato: riffoni trita tutto si succedono senza sosta e senza puntare troppo sulla tecncica ma mirando direttamente alla gola e, ancor di più, al cuore di tutti gli autentici metallari. Esagerando un po’, potrei dire che il riffing di questo disco è composto per piacere ai fan, perché è semplice e diretto e al contempo irresistibile e potente. Un riffing che ci riporta ai tempi di “Scream Bloody Gore” e di “Cause Of Death”, un riffing che lascia alle spalle gli inni adolescenziali di “Cancer, Fucking Cancer” (altra canzone culto di “To The Gory End” nonché controparte di “Slowly We Rot”) per concentrarsi su qualcosa di più cupo (io ci sento anche i Benediction) ma di altrettanto caciarone. Impossibile non apprezzare i miagolii delle sei corde di Murphy, i suoi solos che sanno di borchie, di giubbotti di pelle e di jeans strappati. Il batterista, non un asso del suo strumento, tiene bene il passo coi suoi compari senza risparmiare nell’uso del doppio pedale e risparmiando invece sul troppo “progressista” blast beat (amatissimo invece dai nascenti gruppi Brutal Death).

Lo stesso si può dire sulla voce, un growl nient’affatto profondo e figlio delle incazzatissime voci Thrash che si oppone fermamente ai gorgoglii di Chris Barnes e di Frank Mullen (rispettivamente nei Cannibal Corpse e nei Suffocation). Infine il bassista, non un virtuoso ma che stranamente occupa un posto preciso nelle composizioni della band: in suo soccorso, una produzione mastodontica (veramente ottima per un disco Death, molto pù vicina ad uno Thrash) e, di nuovo, in tutto e per tutto simile alla copertina (colori sgargianti e disegni facili ma ben delineati). Ma trascurando questi dettagli tecnici si può giungere ad una semplice conclusione: “Death Shall Rise” è la storia del Death metal edè anche e forse soprattutto una lancetta di misurazione di questo tipo di musica. Otto canzoni ignoranti e battenti per un album epocale che deve assolutamente figurare nella classifica dei più importanti del genere; ancora una volta possiamo parlare di Raw Death metal per il suo impatto, per come suona, per chi lo suona e per quelli a cui è destinato.

Tassativo.

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