'Gertrud' di K. Th. Dreyer (DK 1964): nell'ingessata Danimarca alto-borghese di inizio '900 si ambienta questo altissimo teatro su amore assoluto e solitudine, che rifiuta i compromessi e, tra il prendere o il lasciare, lascia gli inganni della sensualità travestita da sublime disinteresse, magnifica e spesso anche poetica maschera di un bisogno in fin dei conti privo di dialogo e interesse per l'altro.

Il linguaggio, un po' accademico e misuratissimo, molto probabilmente risulterà ostico al palato dello spettatore di oggi, corrotto dagli esaltatori di sapidità usati di questi tempi al posto del cibo. L'ex cantante lirica Gertrud, delusa dal marito promettente e ambizioso politico, dall'amante musicista dissoluto, pure scelto da lei con l'incomprensibile logica del desiderio, e dall'ex compagno, grande poeta d'amore onorato in pompa magna dall'Università proprio il giorno in cui si rende conto di desiderarla senza poter tornare indietro e in cui più vuote suonano le celebrazioni di una poesia che non ha saputo vivere, abbandona tutti e va in Francia dal suo amico psicologo freudiano. Il soggiorno parigino non si vede. La si ritrova alla fine del film, sola, vecchia, ma serena e forte per la sua scelta di assoluto che non ha tradito, confortata dall'amicizia dello psicologo, mai sbocciata in altro, che le porta il suo ultimo libro in dono. Il fuoco divora le lettere che lui le aveva scritto, in modo che le cose che si dissero appartengano solo a loro e al legame che hanno creato. E non è più un fuoco distruttore, simbolo di rabbia e bisogno, come quelli che avevano distrutto il ritratto dell'ex compagno poeta, da parte di lei, e il suo, da parte dell'ex marito. Quest'ultimo fuoco che arde alla fine della vita è la vita stessa liberata per quanto può un uomo; vita che si consuma, ma ardendo dona senza paure e senza perché.

Importanti le pose dei personaggi nella sorvegliata e classicissima cornice disegnata dalla macchina da presa che sottolinea l'impossibilità dei rapporti tra loro, perché, come dice la frase forse chiave del film: "Esistono solo i desideri dei sensi, il resto è la solitudine delle nostre anime". Predominano i dialoghi, gli ambienti sono pochissimi e calibrati al millimetro: la casa di Gertrud e del marito, l'appartamento dell'amante, l'Università dove un rito solenne onora il poeta d'amore nel giorno del suo fallimento, e la casa della solitaria e serena vecchiaia di Gertrud. Splendida figura di donna con i suoi sbagli, ma anche il suo coraggioso abbandono di un mondo di gelida onestà e dove la parola è facile paludamento di sentimenti non compresi nella loro assolutezza e confusi con impulsi privi di vera comprensione e autentico inter-esse per l'altro. Facile dire che che la purezza dei sentimenti cozza con ogni istanza del cosiddetto vivere civile e in ultima analisi lo rende impossibile. Ma Gertrud ha capito e agisce di conseguenza. Ha capito anche l'inconsistenza dei travestimenti dei nostri desideri e la loro straordinaria capacità di falsificarsi in splendide vesti, ma, fedele alla sua scelta di amare, si ritira con dignità, testimoniando nella solitudine la sua coerenza che non chiede altro.

Ultimo film di un grande maestro, impegnativo, severo, nordico senza compromessi. Dormirete di sicuro, ma farete bei sogni.

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