Ciao a tutti e bentrovati nella nostra beneamata sezione cinema dopo un periodo di assenza! Vi lascio quest'ultima recensione, prima della mia partenza per Sharm El Sheik, quasi fosse un regalo di Natale, che ovviamente Vi auguro di passare sereni di fronte ad albero di Natale con palline rosse o blu monocolore (al Nord), presepe (al centro sud e isole), ed ad ogni latitudine di muniti di spumante preso al supermarket o vino rosso rigorosamente regalatovi da clienti, colleghi, partner commerciali Vostri o dei Vostri accoliti, bicchieri e piatti in plastica (meglio con il nome o un numero di riconoscimento), frutta secca di ogni tipo, fette di pandoro, panettone (glassati o meno), torroncino e/o mandorlato, e quant'altro vi occorre. E ovviamente petardi: del tipo raudi, magnum, zeus e non ricordo più cosa.

Detto ciò, il mio regalo per Voi (il con Voi lo lasciamo stare, per una volta).

Direi di restare su un "classico natalizio", laddove per "classico" intendo una cosa talmente familiare da non invecchiare mai, da essere a tal punto presente nella nostra vita e nelle nostre consuetudini da farci dimenticare il tempo che passa, il tempo passato da quando è stata creata, e da essere al contempo futuribile, dicendo quello che siamo e quello, che, anche senza volerlo, diverremo ad avere tempo e vita sufficienti, per il solo fatto di essere parte di una razza umana in cui, come ben dice il mio primo originario commentatore Jake Chambers, tutti crediamo di essere differenti, rimanendo alla fine ed in questo uguali agli altri.

E cosa ci rende più uguali, "classici" a nostro modo e senza autentica volontà, della voglia di una vacanza di Natale, assieme a tante persone uguali eppure diverse da noi per origine, estrazione sociale, culturale e quant'altro, accomunate dal solo fatto di essere al caldo (tipo Natale sul Nilo o a Rio) o, come avviene in questo capostipite, prototipo della commedia anni '80, sotto la neve? Direi che nulla ci rende più uguali di questo, della voglia di evadere per ritrovarci in un nuovo carcere assieme a tanti evasi, come, per l'appunto, avviene nelle famigerate vacanze di Natale.

Il film che qui commento ('83), operetta non priva di morale dei nostri beneamati fratelli Vanzina, rappresenta certamente uno dei lavori più pregevoli del nostro cinema "minore", grazie alle bella sarabanda di personaggi ed ai minuetti, sentimentali e no, che caratterizzano le varie storie narrate, il cui Leitomotiv, e la cui Weltanschaung, mi sembrano, grosso modo, sempre gli stessi: un rumore di fondo che dietro pailettes, lustrini, abbondanza da "Cortina da bere", voglia di riscatto del piccolo borghese del Centro Sud la cui ambizione è essere neoricco fra i ricchi del Nord, mi sembrano sempre gli stessi, ovvero la noia del vivere, la inadeguatezza rispetto a ciò che si è ma gli altri ci chiedono di essere ogni giorno, l'incapacità di gustare i traguardi raggiunti se non come misura di traguardi da raggiungere, come pietra miliare del cammino apparentemente senza fine che si pretende di percorrere. Quasi l'antitesi di quello che rappresenta, tanto nella mitologia nordica che nella dottrina latino cristiana, il Natale, ovvero il giorno della rinascita del Sol Invictus, del nuovo inizio.

Si ride e si scherza, certamente, in questo film, assieme agli astri nascenti dell'epoca Calà e De Sica, oppure con un impagabile Mario Brega papà del "non ancora Cesaroni" Claudio Amendola, ma torna sempre, con una punta d'amarezza appena stemperata dal divertimento e dalle luci posticce dei night dell'alta bellunese, delle hall degli alberghi, del caldo legnoso delle camerette e del bianco abbacinante della neve, quella voglia di essere qualcun altro ed in un altro luogo, nonostante la vacanza e l'evasione che ad essa si accompagna.

Questa dimensione di alterità, in sintesi, potrebbe declinarsi, nell'ottica assunta dai Vanzina (ovviamente secondo la mia umile interpretazione), nell'unico senso possibile di un Natale laico, deprivato delle connotazioni religiose che ad esso si accompagnano e delle loro rassicuranti certezze, restituendoci l'unico significato etico, sebbene traditore ed al dunque privo di speranza, di questa festività. Il che non mi sembra balzano ricordando l'educazione laico liberale dei figli del grande Steno.

Si pensi, per tutti, all'episodio di Christian De Sica che, in questo film, recita la parte del "cripto/non cripto" gay fino alla definitiva agnitio dei genitori, ed il carattere magistrale della scena in cui, confessando la propria (presunta) "diversità", il nostro è quasi in bilico fra l'accettazione di se stesso - e soprattutto l'esigenza di essere accettato assieme al proprio amante veneto - e la necessità di tornare nei ranghi, alle certezze borghesi ed ai ruoli precostituiti che lo caratterizzerebbero: in questo il desiderio di alterità confina nel dramma e nel tradimento, non esistendo un vero Natale, probabilmente, e lasciando l'individuo solo con i suoi dissidi interiori.

Oppure ancora, si pensi alle magistrali piroette di Calà e Stefania Sandrelli (apro una parentesi: non è mai stata bella come nell'anno magico '83, cfr. anche "La chiave"), il loro andirivieni sentimentale che, rappresenta, esso stesso, l'alterità e l'ambiguità delle relazioni, per cui lo scomodo ruolo di amante o il garrulo ruolo del corteggiatore non sono che le maschere, quasi carnevalesche, di volti inconoscibili - e qui lo stolido Calà funge da "tipo" ideale di individuo dei propri tempi, che ha divelto le fondamenta familiari all'insegna di un'autosufficienza sentimentale ed emotiva che reca il germe del suicidio larvato - dietro i quali si cela il nulla, o il vago, il transeunte, dalle montagne cortinesi alla "finto allegra" Maracaibo che sentiamo sul finale del film, carica di promesse esotiche che sono, in geniale sintesi, promesse inevase di fuga da se stessi.

Altro non vorrei dirvi, sul film, che certamente conoscete, e, dopo aver letto questa recensione, Vi auguro avrete voglia di conoscere e vedere in una di queste fredde e/o umide e/o deprimenti serate che di solito caratterizzano i giorni fra natale e Capodanno ed, indi, i primi giorni dell'anno post bagordi e pre-ritorno al lavoro.

Piuttosto, vorrei utilizzare queste poche righe che mi restano per ricordare gli attori di questo film che non ci sono più, su tutti Guido Nicheli e Mario Brega, con un pensiero al divertimento ed alla simpatia che, involontariamente, hanno donato a me ed ai molti altri che in giro per l'Italia li apprezzano, pur senza conoscerli, e due utenti del sito, a Voi tutti noti, che ci hanno dato l'arrivederci quest'anno, lasciandoci quello che hanno scritto, e, almeno, la possibilità di ricordarli facendoli vivi ogni giorno mentre ci avviciniamo ai loro testi, che sono anche testamenti d'affetto ed amore per musica, cinema, arte in genere e tutte le persone che passano, anche fugaci, per di qua.

Testualmente Vostro,

Il_Paolo

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