Ben trovati ragazzi/e, cosa chiediamo alla commedia italiana "minore"? Relax, un'ora e mezza di sano divertimento, personaggi caratteristici che enfatizzano i pregi e soprattutto i difetti dell'italiano medio - quello che nessuno di noi vorrebbe essere - ed un tocco di malinconia buttato qua e là, fra le righe della conversazione, quasi a nobilitare il messaggio farsesco di fondo. Tutto questo, in apprezzabile sintesi, lo troviamo in molti film dei fratelli Vanzina, e, soprattutto, in "Vacanze in America" ('84), che vado come al solito ad analizzare con voi e per voi.

Si tratta di un racconto corale che segue la scia già sapientemente tracciata dai figli di Steno nel biennio precedente - con "Sapore di mare" e "Vacanze di Natale" - inserendosi, al contempo, nel ricco filone del cinema post-adolescenziale, in cui i protagonisti sono raccontati in un rito di passaggio, in questo caso un viaggio all'estero organizzato dal proprio collegio. Ci si innesta, dunque, nella secolare tradizione del romanzo di formazione, ovviamente filtrato nella affettuosa lente deformante del cinema dei fratelloni nazionali.

Una scolaresca, fatta di maturandi e di ex appartenenti al collegio con qualche anno in più sulle spalle (Tognazzi Jr, Ferrari, Calà, Amendola etc.), parte alla volta degli States accompagnata dall'intraprendente prete laziale don Buro (De Sica) e dalla piacente madre di uno degli studenti (una pleonastica, in quanto mai nuda, Fenech alla sua ultima apparizione nel grande schermo).

Per il gruppo, composto in massima parte da "ragazzi" della suburbia romana, l'impatto con gli Stati Uniti sarà la scoperta di spazi infiniti, nuove avventure e nuovi amori (Amendola-Interlenghi), per boccaccesce escursioni sessuali (votate al fallimento) e fors'anche per un definitivo addio alla gioventù ed alla spensieratezza, che nessuno, tuttavia, vuol realizzare a fondo. Il simpatico Don Buro scoprirà un mondo nuovo, tornando tuttavia alla sua amata provincia laziale senza soverchi rimpianti.

Un po' tutti scopriranno che dopo ogni viaggio c'è sempre un ritorno, e che per quanto grande sia lo spazio percorso, ognuno è prigioniero della sua anima o dei propri cliché ed abitudini.

Sotto il profilo tecnico, il film non si distingue dalla media degli altri film di genere, e non spicca nella filmografia degli stessi Vanzina, sfruttando l'onda lunga dei blockbusters degli anni precedenti e del successo tributato, all'epoca, a comici come Calà e un De Sica in ascesa.

A tratti, la descrizione degli States appare bozzettistica - ma, diversamente, non si tratterebbe di un film dei Vanzina! - e la storia stessa si sviluppa talvolta in maniera superficiale, senza eccessivi guizzi.

Il valore aggiunto del lavoro lo troviamo, tuttavia, nella recitazione a briglie sciolte dei due protagonisti: Calà nel solito ruolo del bamboccione mai cresciuto, alla ricerca di sesso facile (occhio all'amico "Schiantatope"!), di soldi facili e di vita facile, avulso da ogni responsabilità, regala una delle sue migliori prove cinematografiche; bella l'interpretazione di De Sica nel ruolo del prete moralista ed apprensivo, dal formidabile accento "da castelli romani", petulante al punto giusto.

Simpatiche le prove di Amendola e Tognazzi jr., con un occhio di riguardo a Fabio Ferrari, qui alle prove generali del mitico Chicco de "I ragazzi della III C". Discreto il cameo del petulante Gianfranco Agus.

Un film che forse non dirà molto ai più, ma che ha un indubbio ed inestimabile pregio: mentre le guardi, ti senti a casa tua, fra vecchi amici che non tradiscono mai, e le risate che ti scappano, con la benevolenza che si concede ai Vanzina & Co., possono far provare una fugace sensazione di felicità.

Senza bisogno di andare negli States, per scoprili, magari, uguali a Settebagni.

Felicemente Vostro,

 

Il_Paolo

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