Se escludiamo l'esordio passato sotto silenzio ("Due parole", 1996), fatta eccezione per il singolo "Amore di plastica", è col secondo album, "Confusa e felice" (1997) che Carmen Consoli diventa Carmen Consoli, o come l'ha definì un critico dell'epoca, recensendone l'album, "[...] è quanto di più simile a ciò che in America va cantando Alanis Morissette [...] un curioso cantilenare forse imparentato con Dolores O'Riordan dei Cranberries".
Iperbole a parte, quell'album la consacrò, rischiò poi di perdersi col successivo "Mediamente isterica" (1998, un mezzo flop) e ritornò agli, neanche tanto, antichi fasti con "Stato di necessità" (2000), ad oggi il suo lavoro migliore. Forse perchè non si limita a riproporre la solita carica da cantantessa pop rock ma mescola, con evidente talento, altri generi. Ecco dunque fare capolino il soul, il jazz, la tradizione italiana più ortodossa e la musica latina. Il tutto shakerato in un frullato di suoni e parole che stupirono il pubblico non abituato a certe contaminazioni nell'ambito del pop italiano, o comunque non così frequentemente.
Il brano più famoso è "L'ultimo bacio" (oh my God, Muccino), si citano i violini di Modugno e via a sviolinare, per l'appunto, ma, a ben vedere, è il brano più debole dell'album, quasi sparisce se messo a confronto con pezzi come "Bambina impertinente" o "Equilibrio precario". Sotto le (mentite) spoglie di album tutto molto 'love', si nasconde un mix di erotismo e passione ben poco spiriturale, tipica dei popoli latini e dunque della Sicilia, che trasuda sesso da ogni verso: nel "Sultano (della Kianca)" un passo dice: "Sono infuocata se penso ai cinque grammi di virilità, sono turbata al pensiero di una lama in profondità", per dire.
Un album sanguigno, una specie di viaggio onirico tra la Sicilia e certi paesi arabi, col sogno di trasportarsi e lasciarsi andare, come il singolone "Parole di burro", con un video, non a caso, girato a Marrakech. Eppure dai sogni ci si sveglia e ci si lascia cullare dai ricordi, o da piccole canzoni di amori passati. Un battito d'ali separa la rockeggiante "In bianco e nero" (portata a Sanremo con timido successo) e la delicatissima "L'epilogo" ("La dolce evasione e il rientro, la porta di casa, la luce ed il gas, le solite foto sul frigo, e il pensiero di essere altrove").
Tutto, ça va sans dire, suonato benissimo, con alcune intuizioni musicali notevoli (il bel pianoforte, (semi) arioso, della finale "Non volermi male") e un gusto sonoro così mediterraneo, nonostante prevalgono chitarre e batterie tipicamente rock, che la stessa Consoli nel tempo ha abbandonato a favore di opere, a mio avviso, più pretenziose e fin troppo avviluppate su sé stesse, come se il cerchio si fosse chiuso qui, a metà strada. Peccato.
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