Presenti sul mercato dall'ormai lontano 1994 quando rilasciarono lo splendido "Wish I Could Dream It Again", i Novembre sono da sempre considerati una delle punte di diamante del metal italiano, essendosi distinti per un sound molto elegante, capace di unire elementi gothic, doom, death e pregressive e dando vita ad album eccezionali, alcuni dei quali considerati dei veri e propri pilastri del death metal italiano.

Eppure i Novembre, come forse alcuni di voi sanno, non sono esattamente sbucati dal nulla, anzi prima di loro, i due fratelli Orlando, aiutati da Antonio Poletti (anch'egli in forza con i Novembre) e Riccardo (dal cognome sconosciuto) crearono nel 1990 un gruppo chiamato Catacomb. So che il nome potrebbe scoraggiare i più, ma tranquilli, in fondo il sound è quello, magari il moniker è più tetro, ma la sostanza finale è sempre quella.

Dopo due demos che non ebbero grande seguito, datati entrambi 1991, la band torna a farsi vedere con il loro ultimo lavoro nel 1993, ossia un Ep che risponde al nome di "The Return Of The Ark", ma come descriverlo? In parole semplici parlerei di un death metal aggressivo ma allo stesso tempo estremamente elegante, che si sviluppa su ritmiche complesse, risultando ricco di accnti progressive, ma senza essere troppo arzigogolato e pieno di inutili e pesanti orpelli. E' così che nascono i tre pezzi presenti all'interno dell'Ep, vale a dire "A Deadening Whisper", "Tomorrow it Happened" e la conclusiva "In the Shade of the Cypresses"; si nota subito che, se musicalmente non ci sia una poi troppa differenza con i Novembre, se non per una maggiore presenza di elementi black, ciò che si distacca dai successivi lavori della band è sicuramente l'impostazione vocale di Carmelo, decisamente più gutturale e disperata e sempre ancorata al growl.

Dei tre pezzi il migliore risulta essere sicuramente l'ultimo, dotato di un maggiore dinamismo e di soluzioni più attraenti, come la dissonanza tra i riffs di chitarra scarni e martellanti e la sezione ritmica più intenta a compiere evoluzioni virtusistiche di grande pregio. Ciò nonostante anche le altre due canzoni si fanno apprezzare in fase d'ascolto, grazie a melodie particolarmente gustose, anche se più di maniera.
Pur essendo ancora lontani dagli apici creativi della band, bisogna riconoscere che questo "The Return Of The Ark" è un lavoro che ci mostra una band in grande spolvero e capace, nonostante la giovane età media attorno ai 20 anni (Giuseppe ne aveva appena 17), di proporre una musica gradevole e allo stesso tempo di spessore artistico.

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