Oltre alle famosissime e contestatissime raccolte di racconti (Storie di Ordinaria Follia, Compagno di Sbronze, Taccuino di un vecchio sporcaccione), il buon Bukowski si è dilettato anche con romanzi veri e propri, occasione in cui ha dovuto sì piegarsi alle regole sintattiche e grammaticali tanto oltraggiate nelle sue storielle, ma non ha affatto mutato la purezza e la tipicità dei suoi contenuti.

Eppure, in "Panino al Prosciutto", l'isolano della Beat Generation non propriamente detta va incredibilmente a "spezzare" il connubio sbronze-sesso - indiscusso marchio di fabbrica della sua produzione - trasformando quest'ultimo connotato in un entità non raggiunta, addirittura rifiutata dal protagonista. Alle multicolorate e multicolorite sfaccettature benevole e malevole, infelici e serene, apocalittiche o ascetiche disseminate nelle ministorie dei non-romanzi (nei quali tutti - compreso Bukowski in prima persona - combinavano tutto e di più), l'autore contrappone un unico punto di vista, un'idea univoca e inscindibile, un solo grande pensiero che dalle prime pagine si dipanerà sino all'epilogo. Ovvero quello del ragazzo rovinato, del mancato uomo, del fallito che neanche desidera appropinquarsi comodamente nelle grotte segrete del gentil sesso, alla stregua di tutti quegli ignoti personaggi che il vecchio sporcaccione faceva copulare selvaggiamente ed estaticamente nelle sue più note raccolte.

Il perenne conflitto, seppur imprescindibile, ineludibile e inevitabile, fra tempesta e limpidezza nelle opere minori rifugge totalmente da questa produduzione, scacciando l'azzurro dei giorni felici e facendo salire al trono il grigiore di un alter-Bukowski adolescente, quasi il perfetto prologo alla sua condizione adulta, che non riesce a trovare il benché minimo raggio di sole nella sua misera esistenza. Henry Chinaski, figlio di immigrati tedeschi a Los Angeles, pare il Kafka della Grande Depressione, l'omuncolo indifeso e solitario vessato da un padre-padrone che finge di avere un lavoro, il ragazzo destinato alle bettole, ai sobborghi, al vagabondaggio. Mediocre studente, apatico e asociale, Chinaski comincia a trasformarsi un un "duro" street boy attraverso il football, le risse, la spregiudicatezza, il nichilismo e l'empatia; accanto a lui, una gang di compari degni del suo operato, tuttavia non così "sporchi" e "gretti". Il passaggio da un'infanzia già poco radiosa a una giovinezza da pre-vagabondo nell'abisso del nulla è scandita con la metamorfosi del linguaggio dei primi capitoli da innocente, nostalgico e fanciullesco in un lessico a mano a mano sempre più grezzo, lercio, imperfetto e intemperante: dal diario di un bambino che va a trovare la zia o che partecipa al furto di arance durante un banale pic nic ci si trasferisce ai bui resoconti di giornate passate a dare un non-senso alla propria vita, a fare a scazzottate con bulli e non-amici (con i quali comunque si fa baldoria), a scoprire il potere dell'alcool, probabilmente l'unica parvenza di positività nella cronistoria di Chinaski/alter Bukowski. Eppure, in tutto questo ricettario di anticonformismo, veleno e negatività istituzionalizzata, manca l'ingrediente fondamentale della torta bukowskiana: l'approccio sessuale. Bravo a picchiare, bravissimo nel trincare e buono in campo, Chinaski rifiuta sorprendentemente il secondo magnum opus dello scrittore-padre, rifiuto che può essere spiegato con la patologica mancanza di fiducia dell'altro (e quindi anche nella donna). A differenza dei colleghi del Taccuino & co., nichilisti, empatici e solitari come lui, eppure amanti della carnalità più efferata, Chinaski mostra un nichilismo nei rapporti interpersonali a 360°, la negazione dell'altro a favore di un egocentrismo "deviato" e non sano.

Beone, casto per scelta, ma anche scrittore. Il Chinaski del Panino è comunque poco più che uno scribacchino da bancarella, redattore di racconti intimistici e personali neanche paragonabili al Bukowski autentico auto-inseritosi in qualcuno dei suoi racconti, al poeta e sporadicamente anche giornalista (vedasi la famigerata "Open Pussy") venerato dall'alta borghesia e coccolato da editori, professori e rettori nonostante l'irruenza e lo sposalizio con il vino buono. Il ragazzo, dunque, non riesce neanche a spianarsi la strada con la scrittura e la lettura (altra passione presto scemata), ed anzi finisce vagabondo per quei pochi scarni fogli: il padre-dittatore non approva il suo operato e lo condanna al nientismo e al vagabondaggio, prequel di un ulteriore epilogo ben più amaro e desolante dell'opera (l'attacco di Pearl Harbour, l'arruolamento degli "amici" nella marina, il pronostico di un futuro ancora più lugubre e immondo).

"Panino Al Prosciutto" non è un'opera facile da leggere, la classica storia che a molti riduttivi è quella del trittico beone-donnaiolo-hippie, il racconto che fra una crudezza e l'altra riesce a strapparci comunque qualche sorrisino malizioso. E' invece la dimostrazione che menefreghismo, anarchia, nichilismo, anticonformismo non sono facce della stessa medaglia, quella della pura espressione umana esacerbata di tutti i vizi privati della loro componente negativa e compromettente, ma che al contrario possono sfociare - come tutte le altre scelte morali, filosofiche ed etiche (o antietiche) disponibili ad essere scelte dal singolo - in una condizione di infelicità, inutilità e sconforto. In poche parole, anche la scelta più libertaria e scabrosa possibile, preferibilmente consapevole, può non dare i risultati sperati, sia negativi che positivi. Chinaski è allora il deluso per eccellenza, colui che persino nella negatività più totale non ha trovato il tassello mancante del suo puzzle esistenziale.

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