Esiste l'uomo nero?

C'erano una volta due bambini, John e Pearl, figli di un poveraccio che un brutto giorno decise di fare una rapina nelle quale rimase ucciso un uomo. Braccato dalla polizia, il povero Ben Harper (così si chiamava quello sfortunato fuorilegge), decise di nascondere la refurtiva perché i due bambini, una volta diventati grandi, potessero usarla per vivere felici con la loro mamma. Certo, Ben aveva pur sempre commesso un crimine e quei soldi erano pur sempre la causa delle morte di un uomo, ma almeno il suo gesto avrebbe portato qualcosa di buono. E così fece: nascose la refurtiva nell'unico posto in cui pensava che nessuno si sarebbe sognato di guardare e, proprio poco prima di essere arrestato, fece giurare a John, che dei due era il più grandicello, che mai, per nessuna ragione al mondo, e a costo della sua stessa vita, avrebbe dovuto rivelare il nascondiglio. Il destino, si sa, a volte sa essere terribile con i bambini, e così il povero Ben venne mandato a dare calci all'aria appeso ad una forca, non prima, però, di aver fatto la spiacevole conoscenza di un personaggio tanto strano quanto pericoloso: il reverendo Harry Powell, pastore d'anime ambiguo e inquietante, finito in gattabuia per un banale furto d'auto (o così sembrerebbe..). Capitò così che proprio una delle ultime notti prima dell'esecuzione, il povero Ben si fece sfuggire qualcosa, qualcosa che era riuscito a tenere per sé nonostante gli interrogatori: la refurtiva era nascosta da qualche parte e i bambini sapevano dove. Fu così che il povero Ben lasciò questa terra di terra e sassi, senza sapere che, per colpa sua, l'uomo nero si era risvegliato e ora era sulle tracce dei suoi bambini.

L'uomo nero esiste. Eccome. Questo sembra volerci dire Charles Laughton col suo esordio alla regia (anno 1955): l'uomo nero è furbo, si intrufola in casa nostra, seduce chi ci è caro con menzogne e furbizie. Si aggira sotto mentite spoglie, quelle di un prete che ospita nella sua mente un Dio creato a sua immagine e somiglianza, sanguinario e vendicativo, che gli ordina di uccidere per soddisfare la sua sete di denaro ("Chi sarà la prossima Signore? Un'altra vedova? Quante sono state finora? sei? o dodici? Quante vedovelle con un bel gruzzolo nella tasca. . "). Un prete col volto sornione e serafico di Robert Mitchum (eccezionale), carismatico imbonitore di folle, esperto seduttore di peccatrici. Malvagio. E assassino. Che porta tatuate sulle dita le parole Amore e Odio. E' solo uno dei tanti contrasti, delle tante contrapposizioni di questa pellicola: una luminosità apparente ed ostentata che cela l'ombra che divora le altre ombre (geniale l'arrivo di Powell a casa Harper, con l'ombra del primo che "mangia" quella del piccolo John), il Diavolo camuffato da uomo di Dio che si contrappone alla figura del padre dei due bambini: il criminale, il fuggitivo che preferisce morire pur di assicurare un futuro a Pearl e John. Due padri che sembrano affrontarsi nella mente del ragazzino in una gara in cui rischia di venirne compromessa la stessa stabilità mentale, pur di accaparrarsi la sua fiducia incondizionata.

Proprio intorno ai processi mentali che si sviluppano nella mente del piccolo protagonista sta uno degli aspetti più interessanti e, visto l'anno di realizzazione, più innovativi dell'intera pellicola: un approccio quasi psicoanalitico al registro tipico del thriller. John rimane profondamente traumatizzato dall'arresto del padre. Le immagini dei poliziotti che lo portano via ammanettato, le urla dell'uomo, il giuramento a cui è legato a costo della vita sono semplicemente troppo per un bambino della sua età. È grande abbastanza per capire la gravità della situazione e l'importanza di quanto ha promesso, ma non abbastanza per poter fronteggiare il Male in persona, un uomo spietato che (coerentemente al registro quasi fiabesco della narrazione), sembra ad un certo punto dotato addirittura di poteri sovraumani ("Ma non dorme mai?!" si lascia scappare un John disperato ed esasperato dalla tenacia del prete), un assassino disposto a tutto pur di farlo confessare, di farlo venir meno al suo impegno. Non solo. Nella mente del protagonista la promessa fatta al padre si veste poco alla volta di significati e contenuti ancora più intensi e violenti (quando la sorellina gli chiede di raccontarle una storia, John narra le gesta di un re che, poco prima di venire catturato dai suoi nemici, "disse al figlio di uccidere chiunque cercasse di rubare il suo tesoro") Tant'è che solo quando sarà posto di fronte alla medesima scena che tanto l'ha colpito, solo rivivendo il medesimo trauma riuscirà a rompere quel sigillo che per troppo tempo si è tenuto dentro e urlare al mondo il suo segreto.

Dal punto di vista tecnico e narrativo, Laughton decide di stravolgere quelli che sono i normali tempi registici del thriller. L'inizio è fulminante, vengono in pratica omessi tutti i preliminari del genere. Non vi è una vera e propria presentazione dei personaggi principali (Powell ci rivela la sua natura di assassino di fatto alla prima inquadratura, gli stessi John e Pearl appaiono sullo schermo senza alcuna "introduzione", la mamma dei bambini arriva quando ormai è tutto finito), si giunge subito al fulcro della vicenda: il prete riesce a insediarsi in casa Harper, comincia l'incubo per i due piccoli. Ecco l'ennesima contrapposizione: la casa, il nido, di norma simbolo di protezione e rifugio, diventa la tana del lupo, il luogo in cui il pericolo è maggiore, in cui più che altrove John e Pearl sono in balia dell'uomo nero. Il lettone della mamma, dove di solito ci rifugiamo quando i brutti sogni ci vengono a fare visita, finisce per essere il teatro della più crudele delle pantomime del prete malvagio, il luogo dove si consuma il più atroce dei delitti.

Come ogni fiaba che rispetti, la salvezza, se di salvezza si potrà parlare, giungerà grazie all'aiuto di una fata buona, col volto di un'anziana donna armata di carabina, dai modi bruschi e dal cuore d'oro (la nemesi dell'uomo nero, insomma, che usa la parola di Dio per educare e far crescere i piccoli uomini e le piccole donne che raccoglie intorno a se, e non per giustificare le nefandezze del proprio operato). Sarà proprio la vecchia e saggia Rachel a regalare a John due oggetti dal grandissimo valore simbolico: un orologio e una mela, segno che è giunto il momento di raccogliere i frutti che la vita ha fatto maturare, che è giunto il tempo in cui il bambino si lasci alle spalle i mostri della fanciullezza e diventi uomo.

"La Morte Corre Sul Fiume" fu un insuccesso come raramente se ne sono visti nella storia del cinema. Eccessivamente arditi si rivelarono gli elementi di atipicità che lo allontanano dal thriller classico: l'ambientazione (rurale ed assolata degli stati del sud, alla Mark Twain, sebbene gran parte della vicenda si svolga di notte), la commistione di thriller e fiaba, la critica, neppure troppo velata, a un certo puritanesimo (Powell che si rifiuta di consumare le nozze), all'esasperazione religiosa che rende ciechi e non fa scorgere il male che si può annidare negli uomini di chiesa (come accade alla sig. ra Spoon). Ci sarebbero voluti parecchi anni prima che la critica (lo stesso Truffaut non ha mai fatto mistero di apprezzare molto questo film), prima ancora che il pubblico, si accorgesse di quanto si era persa. Probabilmente oggi siamo un po' in ritardo ed il rischio è quello di catalogare troppo velocemente questo film come datato.

La soluzione, forse, sta nel rimanere da soli, la notte, a guardare la sequenza in cui Powell insegue armato di coltello i due bambini sulla sponda del fiume, osservare la rabbia e la frustrazione dipinte nei suoi occhi e, in tutta sincerità, chiedersi: "esiste l'uomo nero?".

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