Il jazz più carnale, la passione, la visceralità dei soli.

Questo è Charles Mingus, tra i più matti e grandi bassisti e compositori mai vissuti; una personalità forte, talvolta incontrollabile. Rabbia, gioia e pazzia sono nelle corde del suo contrabbasso. Con lui Eric Dolphy; persona gentile, introversa, equilibrata; ma quando imbraccia i suoi strumenti chi lo osserva assiste ad una metamorfosi: il suo modo di suonare è esuberante, passionale, incontrollabile, imprevedibile.

Il '64 si conferma anno d'oro per il Jazz. Coloro che accorsero a Parigi per assistere al ''gran concerto di Charles Mingus", di certo, non si annoiarono. Uno dei più entusiasmanti live mai registrati. L'orgoglio afroamericano in Europa, la rivendicazione dei pari diritti, tutto in questo concerto di fuoco, tutto nelle urla razionali di Dolphy, nella rabbia di Mingus.

Una formazione affiatata e di ottima qualità spinge tutti a dare il massimo e, forse, anche qualcosa in più. Clifford Jordan che, pur essendo un ottimo musicista, non è dotato del talento dei suoi colleghi, comunque si rende protagonista di una performance eccellente. Ciò è merito soprattutto di Dolphy che lo spinge a dare il massimo negli scambi di fraseggi come in "So Long Eric".

Altre fonti di energia vitale e spunti musicali sono Richmond e Byard; il primo con il suo drumming originalissimo e trascinante, il secondo con i suoi accompagnamenti discreti e i suoi soli ispirati.
Inoltre viene sfruttata al meglio la duttilità dello stile di Byard, capace di spaziare dal Ragtime (A.T.F.W.) al Free; dimostrandoni il pianista ideale per l'applicazione dell'idea musicale di Mingus di portare brani di chiara ispirazione ellingtoniana a momenti di libertà artistica ("Sophisticated Lady", "Orange Was the Color of Her Dress, Then Blue Silk").

L'ascolto di questa musica porta l'ascoltatore alla partecipazione; ci si sente vicini ai musicisti. Sembra quasi di essere lì, su quel palco parigino, affianco a quel matto di Danny Richmond a contemplare Eric il marziano, a urlare insieme a Charles Mingus e Jaki Byard durante i soli. Ciò è dovuto, in particolar modo, alla passionalità degli esecutori: i brani superano ampiamente la durata consueta delle composizioni jazz, rimanendo a livelli entusiasmanti.

La soglia della mezz'ora viene sfiorata in "Parkeriana", dedica di Mingus al genio parkeriano. Jordan e Dolphy ricorrono spesso a citazioni del repertorio di Parker, e si cimentano in soli molto lunghi, nel caso di Dolphy, chilometrici. Lo Stride di Byard e le gustose risate di Mingus suscitano gli applausi del pubblico entusiasmato.

Impagabile è il trionfo di emozioni regalato da "Meditations of Integration (Or for a Pair of Wire Cutters)". Musica orientale, jazz, musica colta, tutto legato da un profondo senso di tristezza; un brano inegualiabile per la sua intensità: venti minuti di musica intensissima; le voci toccanti del flauto e del contrabbasso, il tono grave e possente del clarinetto basso, gli accordi sghembi del piano: tutto risulta di una sensualità primitiva e sconvolgente.

Un eccezionale live, una perla del jazz più "nero" e viscerale. Toccante, eccitante, sconvolgente.

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