Tutti gli episodi di Black Mirror sono un po’ sconvolgenti e raggelanti, ma lo speciale di Natale del 2014 lo è un po’ di più, almeno rispetto alle prime due stagioni. Forse la carica distopica appare meno evidente, perché la struttura narrativa è a scatole cinesi e ribalta almeno un paio di volte la prospettiva. Ma è feroce, anche più del solito.

Sarà che il tempo è una delle questioni più misteriose (e spaventose) dell’essere al mondo, ma questa trovata dei cookies mi ha davvero lasciato di stucco. La leggerezza con cui viene inflitta loro la condanna del tempo è qualcosa che supera di gran lunga tutte le perversioni morali delle prime due stagioni.

La struttura dell’episodio è eccezionale. La prima parte è quella più scanzonata, pur rappresentando in modo affilato i rischi insiti nelle tecnologie di riconoscimento facciale e in generale le potenzialità nocive dei social network. L’andamento della vicenda è poi ulteriormente crudele, per il fraintendimento terribile che ne nasce. Ma c’è di più: abbiamo infatti una rappresentazione delle tipizzazioni umane che non può non far riflettere. Ad ogni elemento comportamentale c’è una risposta perfetta da dare, come a voler raggruppare gli esseri umani in un certo numero, ampio ma limitato, di categorie standard. La banalizzazione e plastificazione di queste categorie è alla base del misunderstanding finale. L’errore fatale sta nel vedere le caratteristiche degli altri come optional di un oggetto, la persona, che è mero obiettivo erotico. Non se ne calcolano le conseguenze reali, come in una realtà virtuale in cui bisogna soltanto vincere la partita.

E a fianco del maestro che guida l'inetto del caso grazie alla webcam presente nei suoi occhi, c'è un gruppo di voyeur che si diverte a spiare e commentare sarcasticamente la vita privata del povero incapace. Che tra le altre cose ha imparato a memoria una serie di frasi ad effetto, coerentemente con la visione standardizzante degli esseri umani.

La visione distopica si fa ancor più terrificante nella seconda parte, quando Matt Trent spiega il suo lavoro. E qui davvero il genio degli sceneggiatori è pareggiato solo dall’inquietudine generata. I cookies estratti dalle persone (non aggiungo dettagli per non rovinare la sorpresa a chi non ha visto l’episodio) sono davvero qualcosa di spaventoso. E l’idea che si possa infliggere loro qualunque tortura temporale, impunemente, è altrettanto terribile. Questa tecnologia viene utilizzata sia per funzioni domestiche (perché l'uomo è sempre più pigro e allergico alla fatica) sia per questioni di giustizia penale.

Le premesse fatte in queste due sezioni permettono di raccontare al meglio la vicenda di Joe Potter, che è il dramma più grave qui presentato. E pur avendo egli commesso degli errori, chi ne esce maggiormente sotto accusa è la pseudo giustizia di questo futuro, che davvero non soppesa le pene inflitte a uomini e relativi cookies. Il finale poi è un trionfo sadico, sia per la vita che Matt si trova costretto a vivere (il blocco che si subisce e/o applica agli altri, attraverso il dispositivo di realtà aumentata, è un’altra trovata di sceneggiatura geniale e spaventosa che ben tratteggia i pericoli di una vita parametrata sui social network), sia per il cookie condannato a millenni di solitudine. Un Inception molto più cattivo.

A parte la perfezione strutturale con cui si dipana l’episodio e le sorprese ben disseminate, trovo questa visione distopica una delle più spaventose tra quelle proposte in Black Mirror. Perfettamente calibrate le alternanze tra narrazione a flash back e spiegazioni nel presente. Con la rivelazione finale sul motivo per cui Matt si trova lì che aggiunge un'ulteriore dose di disincanto venefico alla storia. E quel cappottino colorato nella neve, per millenni.

8.5/10

Carico i commenti...  con calma