Chiunque (ma proprio chiunque) ha il suo film di Natale del cuore, a chi "Una poltrona per due" a chi "Mamma, ho perso l'aereo" e via discorrendo, anche se ho più in simpatia chi preferisce "Gremlins" (cult della mia vita). Io ne ho un altro, ed è "La febbre dell'oro", 1925, a firma, e scusate se è poco, Charlie Chaplin, che è anche il mio film preferito in assoluto, quindi difficile parlarne obiettivamente ma ci proverò,
"The Gold Rush" è l'idea chapliniana di ritornare all'omino buffo con bastone e bombetta che lo aveva reso famoso nei tanti cortometraggi della Mutual e della Keystone tra il 1914 e il 1919, dopo due lungometraggi molto diversi tra loro: "Il monello" (1921) in cui la figura di Charlot è presente ma, a differenza dei cortometraggi, non è una figura ben connotata in un determinato momento storico ("Charlot soldato", 1918, è un esempio, un primo esempio, di raccontare una realtà tremenda attraverso il filtro dell'ironia come sarà poi con "Il grande dittatore", 1940), è più una figura astratta, inserita in un contesto quasi favolistico, come dimostra la sequenza finale del sogno, è insomma un Charlot ad altezza favola; il successivo "La donna di Parigi", 1923, è un bell'esercizio di regia ma è un film in cui Chaplin compare in un breve cameo e l'opera è costruita intorno alla figura di Edna Purviance, con la quale Chaplin, che la utilizzò molto spesso tra il 1915 e il 1923, ebbe una relazione.
"The Gold Rush" è ispirato a un fatto di cronaca narrato da Charles Lafayette McGlashan: un episodio di cannibalismo occorso in una spedizione sperdutasi in California nel 1847. Nell'opera di McGlashan si citano il Thanksgiving, il Natale e il Capodanno (due di queste feste presenti nel film di Chaplin); scrive l'autore, "il mattino del Capodanno essi mangiarono i loro mocassini e le strringhe dei loro scarponi" (si veda la celebre scena delle stringhe degli scarponi mangiati come fossero spaghetti); la descrizione della capanna è perfettamente aderente a quella del film; uno dei protagonisti dell'opera letteraria insegue un orso che scompare davanti a lui, Chaplin ne ribalta, comicamente, la situazione.
"The Gold Rush" è la fiera, diciamo così, del pensiero chapliniano. La corsa all'oro nel Klondike dell'epoca dei pionieri è un pretesto per raccontare le difficoltà dell'uomo comune, semplice in questo caso, di fronte alle grandi sfide dell'esistenza umana, siano esse di natura sociale (rapporti interpersonali) siano esse di natura altra, vale a dire la natura percepita come nemica o comunque tragicamente ostile. Dico tragicamente perchè è pur vero che il film contiene molte sequenze comiche, tutte tra l'altro famosissime, e che la prima parte nella capanna è un fluorilegio di gag a volte elaboratissime e, come sempre, o quasi sempre, con Chaplin, studiate in ogni minimo dettaglio, in modo quasi "musicale", eppure il pathos sotteraneo che si staglia nella lotta alla sopravvivenza di ogni singolo individuo presente nel film è tragica e grave, perchè grave e inospitale è il contesto. Come scrive Giorgio Cremonini nel suo breve saggio "Chaplin" (edizione Il Castoro): "Chaplin ci fornisce così un ritratto dell'esistenza come di qualcosa di cui non si conoscono le regole, in cui tutto appare casuale; ma al tempo stesso in questo disordine egli rinviene e rivela le leggi dell'ordine nascosto, che sono il denaro anzitutto, poi l'impossibilità di una fusione sociale tra gli uomini, ma anche, testardamente, la ricerca della felicità".
Il film è un apologo sul denaro e sul modo di ottenerlo. Se la ricerca della felicità è un principio vergato dai padri fondatori all'interno della Costituzione Americana, Chaplin sa bene che è il dollaro l'unico motore che fa camminare il mondo, e gli Stati Uniti in particolare. Lo era ieri, come oggi. Folle oceaniche che si precipitano a ricercare una felicità in formato pepite d'oro non è molto lontana da chi, oggi, attraverso l'alta finanza ricerca un barlume di felicità attraverso la speculazione borsistica, come diceva Battiato: "Vuoi vedere che l'età dell'oro era solo l'ombra di Wall Street".
Il mondo dei cortometraggi della Keystone è qui tutto presente nella prima parte, ma Chaplin sente il bisogno di dissociarsene presto e nel secondo tempo, dopo la celebre danza dei panini citata e ricitata da chiunque (compreso nonno Simpson), il film diventa altro, quasi una sottospecie di dramma della vita in cui il finale si rivela ambiguo. "Il fatto è che non ci si innamora di Pierrot, di un clown. Meglio: nella logica dell'universo chapliniano, non ci si innamora di un povero" (Renzo Renzi).
Nel ruolo femminile, affidato poi a Georgia Hale, Chaplin pensa a Lolita Mc Murray, in arte Lita Grey, che però aveva un curriculum improponibile: pessima attrice, scartata da chiunque. Chaplin rompe la relazione con la Purviance, e sposa la Grey. Siamo nel 1925. Dopo soli due anni, nel 1927, il matrimonio s'interrompe con un chiaccheratissimo divorzio, che diventa una caso internazionale in quanto la separazione finisce in tribunale con l'accusa di crudeltà mentale. I surrealisti francesi si schierano subito dalla parte di Chaplin e con un articolo dal titolo "Hands off Love", pubblicato sul loro giornale, "La Révolution Surréaliste", prendono di mira la ex moglie squalificandola, senza mezzi termini, a pazza e sgualdrina. Il femminismo, le accuse di sessismo erano ancora lontane da venire.
In definitiva si tratta di un'opera gigantesca, un molosso, un monumento su cui poggia l'intera Settima Arte del Novecento, forse uno dei film più rappresentativi e clamorosi dell'intera storia del cinema, perchè contiene tutto quello che un film dovrebbe contenere: umorismo, risate, tragedia, avventura, nostalgia. E tutto dura solo 81 minuti. Il film è, ovviamente, muto, ma a Chaplin questa sua opera è sempre piaciuta più di tutte le altre, e nel 1942 rimontò una versione sonora (con commento musicale leggermente diverso) di 72 minuti, epperò va detto, con tutto il bene che si vuole a Chaplin, che, oltre ad essere una versione monca, è anche un po' tirata via, dato che il commento sonoro, peraltro invadente, elimina molta della magia originale del film. In Italia, purtroppo, è circolata sempre la seconda versione, salvo poi, in tempi recenti, essere stata finalmente sostituita da quella originale, grazie ai soliti genietti della Cineteca di Bologna. Già che c'erano, sia lode a loro, l'hanno pure restaurato digitalmente.
Un capolavoro.
Carico i commenti... con calma