Una epifania, questo album. Un disco che racchiude in sé i semi del lirismo evansiano, il vitalismo del be-bop, il retaggio di Bud Powell, e il mood crepuscolare di certe jazz ballads più intime e sublimanti. Un capolavoro, semplicemente, questo disco del "Quartet West" di Charlie Haden. Un album fondatore di una splendida formazione che sa essere ora tesa, ora spensierata, ora giocosa, ma che sa stare sempre, istintivamente, in un raggiante e sicuro equilibrio sui trampoli della propria arte. Un disco che vibra sospeso fra attimi di furore lirico e momenti spasmodicamente tesi, improvvisazioni brucianti di un virtuosismo che ha dentro di sé quella bellezza salvifica che cela dietro un'anima. Un'anima pulita e senza inganni.
Ed è a partire dall'opener "Hermitage" che sboccia la prima rivelazione, il primo dono soffuso di una malinconia grigioperla regalata da questo album. È come se il pianoforte di Alan Broadbent e il basso di Haden dialogassero soffusamente a preludiare il tocco secco, aereo e sorridente della batteria del grandissimo Billy Higgins. Ma c'è anche lo splendido sax di Ernie Watts, in questo album. Un sax dal suono che ora si fa denso e corposo, per poi rinchiudersi ad istrice in atmosfere malinconicamente crepuscolari, fino ad esplodere infantilmente nel brio scoppiettante di "The Good Life".
Epifanie che sbocciano delicate come fiori di albicocco. Come nell'estasi di "My Foolish Heart", che intriga e rapisce nel suo mood dolceamaro. O epifanie asprigne e succose, come nel "Passport" che reca il suo giusto tributo al grande "bird" Charlie Parker. Ma è soprattutto in brani come "In The Moment" dove questo disco tocca i suoi vertici. Un brano teso ed ipnotico come una fuga impossibile da un labirinto del cuore senza uscita. O la malinconia esitante ed "old-fashioned" del groove che cresce ossessivamente e a poco a poco in "Bay City". Un album di jazz senza tempo, questo, un album che ora ti rapisce ora ti strappa un moto dell'anima intriso di piacere e malinconica dolcezza. Come lo splendido sorriso di Billy Higgins che risplende in quell'"Hyperion" che gli avrebbe dedicato, di lì a qualche anno, il grande Charles Lloyd.
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