Questo disco nasce dall’esigenza di staccare la spina. Nasce dal bisogno di fermarsi, abbandonare la vita caotica e nevrotica e rigenerarsi in qualche luogo lontano dalla civiltà. Birth Of Violence è il nuovo album di Chelsea Wolfe, ed è esattamente quello che ci si aspetta da una musicista che trascorre un periodo lontano da tutto e da tutti. Le canzoni di Birth Of Violence sono nate lo scorso inverno, quando la cantautrice di Sacramento si è spostata nella sua casa immersa nei boschi del Nord della California. Brani nati dall’intenso profumo delle conifere, dal forte sapore del terriccio coperto di neve, dall’acre odore della legna nel caminetto.

Il vibrante folk di “The Mother Road” apre il disco in maniera esemplare. Una poetica e intensa traccia scarna ed essenziale, costruita sulla delicata melodia della chitarra acustica e dalla ritmica tumultuosa e ipnotica. La voce di Chelsea fluttua tra sferzate di noise che aleggiano nel brano, fondendosi poi con l’esplosione degli archi nella parte finale. La successiva “American Darkness” sembra l’ibrido tra un brano di Leonard Cohen e un pezzo dei Radiohead più recenti. Una lenta ballata rugginosa, con la batteria spazzolata e una tastiera dolce, elegante. Chelsea qui è angelica, e narra una storia d’amore e libertà di un’anziana coppia che balla insieme per l’ultima volta prima che arrivi la morte e li separi.

Ispirato ai cantautori folk degli anni settanta, Birth Of Violence è un ritorno alle origini per Chelsea Wolfe. Dopo la sbornia metal dei due dischi precedenti (Abyss del 2015 e Hiss Spun del 2017), c’è la voglia di voltare pagina e tornare indietro. Niente chitarre metalliche e pesanti sonorità doom qui, ma solamente il folk gotico e raffinato con cui Chelsea ha esordito. Un folk oscuro e scheletrico, che stavolta fa i conti, per l’appunto, con i suoni metal del recente passato, che lasciano una scia, che si sentono ancora sottopelle. Reminiscenze metal non esplicite questa volta, ma insite in tutto il disco, in ogni traccia. A dimostrare ciò arriva “Deranged For Rock & Roll“, straordinaria ballata western dalle cui ferite però sgorga sangue infettato da atmosfere metal. Il brano è incredibile, da pelle d’oca, uno dei migliori mai scritti da Chelsea Wolfe. Un folk nerissimo e nervoso segnato dalle chitarre elettriche, ma di un’eleganza e una raffinatezza magnetiche.

Prodotto da Ben Chisholm (già collaboratore di Chelsea da svariati anni), il disco è pulito, le melodie sono profonde e la voce di Chelsea (che passa da dei bassi infernali a un falsetto celestiale) è sempre intensissima, in primo piano. Un album scarno ma dalle rotondità sonore molto accentuate. Un album minimale, ma che riesce a salire dallo stomaco fino al cuore con esplosioni melodiche che riempiono il cervello. Acustico ma oscuro, metallico e western, Birth Of Violence dimostra la bravura di una cantautrice all’apice della sua ispirazione.

Erde” è una macabra ballata che sembra provenire dagli oscuri anfratti del nucleo terrestre, uscendo poi allo scoperto su una superficie cruda, buia e umida. “When Anger Turns To Honey” è un pezzo che mi ha riportato alla mente i momenti più ipnotici degli Swans. Si muove lenta come le fiamme che consumano la legna. Un folk nudo che scricchiola, stride, brucia lentissimo e poi lascia nient’altro che braci. In “Highway“, Chelsea è sola col la sua chitarra acustica. I synth, inaspettati e spettrali, sbocciano come fiori d’inverno, boccioli scuri nella desolata natura morta.

Birth Of Violence è semplicemente magnifico. Un album di enorme bellezza, elegante e saturo di emozioni. Un ritorno al folk per Chelsea Wolfe, che però è ancora legata ai suoni metal dei suoi due album precedenti. Viscerale e ammaliante, Birth Of Violence è straordinariamente magnetico. Appena finisce fa venir voglia di riascoltarlo di nuovo, dall’inizio. Ipnotizza, emoziona, ci fa staccare la mente e l’anima dal nostro mondo caotico e, per quasi 45 minuti, ci immerge in una natura nuda, scarna, violenta, ma dannatamente sensuale.

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