Ho sempre pensato che quasi senza esclusione, ogni genere musicale fosse degno di considerazione e fosse potenzialmente in grado di annoverare tra le proprie uscite discografiche capolavori veri e propri, considerati ovviamente nel proprio ambito e non in senso assoluto. Non ha dunque senso per me confrontare King Crimson, Weather Report e Led Zeppelin (per dire) con Battisti, Coroner e Georghe Zamfir, anche se come tutti ho le mie predilezioni. Tendo a spaziare molto in ambito artistico e credo che ogni genere abbia i suoi maestri e le sue scartine, e che non basti tirare giù due riff a cazzo e fare la faccia cattiva per essere necessariamente migliori dei Bee Gees.

Il discorso si fa peso e tetro se approcciamo il genere musicale della disco music, che come tutti sanno nasce intorno al 1975 e muore non troppo lentamente a partire dal 1980, sovrastato da un synth pop arrambante che pure nasconde perle non disprezzabili (una per tutte: “Stanlow” degli OMD). Fermo restando che molti anni dopo le star del pop elettronico dichiareranno di essersi ispirate ai progenitori funky e disco, è di tutta evidenza che la migliore disco music ha avuto se non altro il pregio di essere assai “suonata”, masticata sugli strumenti (soprattutto il basso) e ben curata negli arrangiamenti, soprattutto quando il brano si snodava su pochi patterns ripetitivi e le variazioni assumevano importanza.

Tra elettronica e violini in glissando, sospiri e giochini musicali di vario genere, non c’è dubbio che gli Chic rappresentino il versante degno e serio della disco music. Nile Rodgers e Bernard Edwards sono stati due musicisti sopraffini per invenzione, tecnica e stile, di quelli che giocano a sottrarre piuttosto che a caricare, ed hanno caratterizzato la musica degli Chic con un riconoscibilissimo suono di pianoforte (niente sintetizzatori) e con riff circolari avvolgenti e discreti.

Sin dal primo successo del 1977, “Everybody Dance”, gli appassionati della musica equilibrata e ben suonata riconoscono linee di basso indovinate e virtuose, e una chitarra ritmica geniale, che disegna definitivamente il ruolo dello strumento in ambito disco e lo stacca una volta per tutte dallo stile più tipico del funky di strada, assai più sporco e “cafone” (tipo Isaac Hayes). Gli Chic diventava la band di classe per eccellenza e le loro produzioni (Sheila, Sister Sledge, Ritchie Family, Diana Ross ed altri) attirano l’attenzione di gente come Bowie, Narada Michael Walden e Quincy Jones: Rodgers diventa un music man coi fiocchi, arrangiatore e produttore, e la linea di basso della celeberrima “Good Times”, isolata, diventa “Rapper’s Delight” ed entra nella storia.

Un buon greatest hits degli Chic come questo, del periodo migliore (otto gli albums in studio, ma i primi quattro scrivono la leggenda) fornisce materiale di elevata fattura e ne trascura altrettanto (a me manca molto “My Forbidden Lover”), ma se c’è una band in grado di farvi fare pace con la disco music è proprio questa, musica senza tempo e senza etichetta che negli anni è piaciuta a Jagger e a Bowie, a Tom Jones ed ai Queen. La prova è che questi brani possono essere sentiti in salotto, quasi in funzione di musica da camera, senza necessità di una pista da ballo ma gustando pienamente l’equilibrio sofisticato e raffinato – quasi jazz – degli strumenti, e la misura e la genialità dei brani. Data la caratura progressivamente in discesa della musica da ballo degli anni a venire, da "Comanchero" a "Rhythm Of The Night", viene nostalgia di questi dischi più vicini a Duke Ellington che a Puff Daddy.

Elenco e tracce

01   Le Freak (03:30)

02   I Want Your Love (03:28)

03   Dance, Dance, Dance (Yowsah, Yowsah, Yowsah) (03:40)

04   Everybody Dance (08:25)

05   Chic Cheer (04:42)

06   Good Times (08:13)

07   My Feet Keep Dancing (06:46)

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