Altra grave lacuna di questo sito che andava assolutamente colmata era la mancanza di un contributo all'opera di una delle formazioni di punta del British Blues degli anni '60, i Chicken Shack, che nel 1968 giungono al tanto atteso debutto discografico per la Blue Horizon, la stessa, storica etichetta di Fleetwood Mac e Aynsley Dunbar Retaliation.
"40 Blue Fingers Freshly Packed And Ready To Serve" rappresenta, da un punto di vista artistico, l'apice nella carriera di un gruppo originariamente nato come terzetto (col chitarrista Stan Webb, il bassista Andy Sylvester e il batterista Dave Bidwell), e poi ampliatosi con l'ingresso della pianista e vocalist Christine Perfect (vuole la leggenda che a suggerirne l'ingresso in pianta stabile sia stato il produttore Mike Vernon, scopritore degli Shack come lo sarebbe stato, fra gli altri, dei Ten Years After); la Perfect, cui John Mayall aveva nel 1967 dedicato quella "Leaping Christine" poi inserita in "The Hard Road", era cantante dai toni enfatici e solenni, malinconici e "piangenti", facilmente riconoscibile già ad un primo ascolto per la peculiarità timbrica di un cantato elegante e composto, più vicino alle inflessioni di certe "Jazz singers" che non alla ruvida vocalità del Rock-Blues nascente; ed era musicista dalla classe innata, interprete di un tocco pianistico suadente e vellutato, morbido e "gentile" (lontana è l'ostinata percussività dei pianisti ispirati dal Rock'n'Roll o dal Rhythm & Blues). Al contempo, la vena sofferente e riflessiva del nuovo Blues degli Shack trovava degna espressione nella voce del leader, Stan Webb, chitarrista d'ispirazione prevalentemente "greeniana" (i Fleetwood Mac sono certo quelli che sotto il profilo stilistico più si avvicinano ai Nostri) ma anche voce suggestiva, particolare, vicina per acutezza ed estensione a certe prodezze vocali del primo John Mayall (ascoltare "Have You Heard", da "Bluesbreakers With Eric Clapton", e si coglieranno le relative affinità). La sezione ritmica è affidata essenzialmente a due comprimari, pur risaltando per precisione e spiccato gusto per l'uso di varianti contestuali e mai fuori misura.
La band di Stourbridge, sobborgo di Birmingham, era reduce da una fortunata tournée in Germania quando entrò in studio per le registrazioni di questo pregevole esordio, e l'affiatamento creatosi fra i membri del gruppo è pienamente apprezzabile in un'opera già molto significativa per misura, incisività e rivisitazione filologica (ma tutt'altro che aridamente puristica) dei canoni del genere; la validità dei Nostri dal vivo ha contribuito di gran lunga alla fortuna commerciale del disco in questione: soprattutto impressionava l'abitudine di Webb ad esibirsi in mezzo al pubblico (una novità per l'epoca), così come sorprendeva l'innovativa soluzione di adattare la matrice Blues tradizionale a stilemi jazzistici (strada, questa, seguita da molti successivi esponenti del Blues Revival, inglese e non solo). A conferma di tale predisposizione stilistica è l'aggiunta, in "40 Blue Fingers", di una piccola sezione-fiati impreziosita da due sassofonisti di rilievo: il veterano Dick Heckstall-Smith (già con Alexis Korner e Graham Bond, e poi membro dei Colosseum) e Johnny Almond, che darà vita al duo Mark-Almond. In particolare l'importanza di Heckstall-Smith nel destrutturare i canoni del British Blues più classico è oggi da tutti riconosciuta, ed è paragonabile a quella di un John Hiseman, peraltro spesso suo collaboratore in varie produzioni dell'epoca.
La classe degli Shack è evidente fin dall'apertura di "The Letter", cantata da Webb con sofferenza e partecipazione (oltreché con marcata predilezione per i toni alti della voce e la fluida pulizia esecutiva della chitarra), e dalla successiva "Lonesome Whistle Blues", magniloquente omaggio al Blues urbano di Chicago, con sassofoni e trombe ad introdurre e sviluppare il tema; è invece la femminilità di Christine a dominare "When The Train Comes Back", uggiosa rievocazione della separazione fra due amanti alla partenza di un treno, cadenzata da spettrali e lugubri fraseggi pianistici. "San Ho Zay" e "See See Baby" (strumentale il primo) sono due pezzi estratti dal repertorio di Freddie King, tra le principali fonti d'ispirazione del gruppo; notevole la rilettura di "King Of The World" di John Lee Hooker, lunga e funerea litania solcata dagli improvvisi squarci chitarristici di Webb, qui intento ad esaltare il lato più sanguigno della propria personalità strumentale. "Webbed Feet" è un'altra degna vetrina d'esposizione per la tecnica del chitarrista, intensa e sostenuta cavalcata elettrica in cui è tutto il gruppo a funzionare a meraviglia e ad assecondare con rigore gli imprevedibili spunti del solista; la funzione "locutoria" della chitarra in ambito Blues trova qui perfetta espressione: lo strumento "parla" e racconta storie con sincera emotività, sostituendosi al cantato del leader. L'originalità timbrica di Stan Webb è altresì in primo piano in "First Time I Met The Blues", come anche nella conclusiva (ma lievemente monotona ed involuta) "What You Did Last Night", mentre "You Ain't No Good", affidata ancora all'astrale vocalità della Perfect, è pagina di intensità e lirismo ineguagliabili, e costituisce forse il momento artisticamente più elevato dell'intero disco: uno "slow" carico di atmosfere notturne, emozionante per l'intero arco della sua durata senza cali d'ispirazione.
Peccato che il seguito ("Ok Ken?", di un anno dopo) non raggiunga gli stessi vertici di questo imprescindibile esordio, e peccato anche che dopo la dipartita di Christine (passata coi Fleetwood Mac, sarà moglie di John McVie assumendone il cognome) i Nostri perdano smalto e credibilità, impantanandosi fra abusati (e mediocri) stereotipi Hard-Blues di pochissimo interesse. Se c'è un album degli Shack che va ascoltato con particolare attenzione, quello è senz'altro "40 Blue Fingers", cui assegno quattro stelle tenendo conto di due fattori: l'importanza del gruppo nell'evoluzione storica del Blues inglese e la sua capacità di suggerire strade alternative e in parte originali, pur nella sostanziale condivisione del modello classico (e irrinunciabile) delle 12 battute.
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