"E da un'uscita di galleria, col cuore in gola, ti trovi in faccia il sole che ti fruga i pensieri: Ti legge dentro la nostalgia, il buio fresco in cui fino a ieri gettavi via i tuoi giorni d'eternità. Ma la voglia di vivere, forse ti salverà, all'uscita di una galleria."

Per raccontare queste canzoni, è necessario essere un po' poeti dentro.

E' necessario lasciare allentate le corde della propria malinconia, e captare ad una ad una le frequenze della voce calda e ingenua del Lolli. Questo è stato il suo terzo lavoro dopo "Aspettando godot" e "Ho visto anche degli zingari felici", ed anche uno dei suoi meno accreditati.

"Canzoni di rabbia" nasce tediato e muore rabbioso. E' un album che com'è accaduto spesso a svantaggio di Lolli, ha il difetto di apparire politicizzato. Ma piuttosto si porta dietro la poca simpatia che nel bene e nel male questo cantautore ha sempre ricevuto grazie al suo proclamarsi apertamente comunista.

Ed è proprio questa una delle caratteristiche che più mi piace di Claudio Lolli: la sincerità di lasciar trasparire la sua fede politica nella sua musica. E la musica non può essere altro che uno, dei tanti specchi dell'anima. Lui sapeva: non puoi dir la tua senza prendere posizione e la sua proveniva soltanto da un modo di essere.

Questo senz'altro lo ha distinto; non ha mai tradito se stesso. Ma è tanto facile per noi potersi sbarazzare dell'ascolto dei suoi dischi precludendo la poetica a favore dei pregiudizi politici. Voglio ricordare, poetica che sta al di sopra del comunismo e dell'arte politica. Il suo è ancora una volta un viaggio nella sua intimità e nel lato umano dei suoi personaggi. Inizia appunto il "viaggio" con il primo brano, all'uscita di una galleria. Canzone con cui in modo superbo esprime la nostalgia e le preoccupazioni, e la voglia di lasciare un luogo per poi riflettere sul proprio passato e su quello da cui ci si sta allontanando. Inizia con accordi maggiori che non sono sempre d'uso nei suoi componimenti; questa è difatti una canzone che può perfino apparire speranzosa quando il nostro canta "una voglia di vivere, forse ti salverà". Tutto invece sembra allontanarsi con la strada che si sta percorrendo, e la voglia di vivere è già nostalgia.

Prosegue con la "Prima comunione", descrizione cruda e spogliata da gradevolezze di quello che è stato nient'altro che un brutto giorno, di una paura che non si scolla di dosso neppure dopo aver tolto la "camicia dura", e il rimorso di non aver riso già d'allora dei preti "bigotti e fottuti". In "20 anni" è di nuovo sui ricordi. La tristezza si fa più coetanea, e anche se ormai le ferite hanno avuto il tempo di ricucirsi, ci sono momenti che si fanno quasi vivi come un tempo. Lasciano delinearsi quello che non ha avuto senso e non avrà mai senso. Lasciano delinearsi il "Viaggio di ritorno", tra la nebbia "morbida e veloce" che nasconde Torino.

Qualcosa può vincere lo sconforto. Le risate che si perdono quando dentro vorresti trattenerle, quando sai che non puoi forzare il tuo viso a mascherare la tristezza incredibile, del viaggio di ritorno, che tra la nebbia e i rumori della città aspettano i fiumi.

E' il seguente brano, "Donna di fiume", che ha le note più positive dell'album insieme ai versi finali di "compagni a venire". Qui Lolli sa di raccontare una delle esperienze per cui è valsa la pena vivere, la notte in una stanza d'affitto con una donna di fiume. La donna di fiume che è negata ai beati, che ti trascina con le sue correnti e ti porta a fondo nelle profondità dell'amore, dopo un interminabile abbraccio. I toni sonori si fanno beffardi e quasi scanzonati per parlare del "Milite ignoto". Una canzone che ha del suo, per nulla banale, anche se i rimandi a chi prima di lui ha cantato questa figura sono numerosi. Così la crudezza si fa strada tra interpellanze e ipotesi, per cui la morte arriva combattendo con un fratello per un pezzo di terra che all'uomo neanche appartiene.

Arriva "Dalle capre", la storia di un carceriere e probabilmente la prima canzone a trattare questo tema. Storia di un pastore che viene dalle capre per far la guardia "ad un compare per un po' di vino e pane", che si vede ormai schiavo del suo mestiere, che comunque vada, ironicamente, anche a mollare tutto e a fare il ladro si troverebbe nella stessa galera che a malapena lo tiene in vita privandogli quasi ogni libertà. Canzone tra le più tristi e senza via d'uscita di Lolli, che ci racconta l'assurdo di questa società.

Il disco sta per arrivare al culmine, e raggiunge momenti di lirismo e naturalezza degna dei migliori cantautori d'ogni tempo quando inizia "Compagni a venire". E questa è una canzone che ci svela il titolo dell'album che lo contiene, forse mai più rabbiosa e decisa. Che sfoga il suo rancore con retoriche prima in modo passivo, poi quasi urlando sottovoce, sfociando già dall'inizio accusando i loro genitori: "Potrò mai perdonare al vostro amore stanco il piacere segreto di una notte lontana, che mi ha sbattuto in un mondo extravaginale senza nemmeno chiedersi se preferissi nascere o la morte gloriosa di un aborto illegale". Continua chiedendosi se potrà perdonare i suoi amici e le sue poche donne, e "il Dio che non esiste" e infine se stesso e la sua rabbia, così forte da poter far affondare una nave e annegare i marinai tra le onde del mare in tempesta.

Finisce "Canzoni di Rabbia" con il gesto d'affetto dei suoi compagni, sparsi in questo mondo "non a grandezza d'uomo e nemmeno di donna e neanche di bambino".

Finisce con dei ringraziamenti, in questa vita che dovrà pur aver finire.

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