Josh, Rich, Rob, Steve e Tommy sono cinque ragazzi nati e cresciuti negli anni Novanta ad Harrogate, città del Regno Unito nella contea inglese del North Yorkshire, anche nota come Harrogate Spa: la principale attrazione di Harrogate, difatti, sono le terme; il suo vanto consiste nell’essere stata sede dell’Eurovision nel 1982.
Ora, un centro termale non è propriamente il luogo che verrebbe in mente per fondare la scena NWOBH - terrificante acronimo che indica la nuova ondata dell’hardcore britannico - e difatti la scena non nasce ad Harrogate, ma ben lontano da ottuagenari che vagano in accapatoio bianco ed infradito da una vasca di fango ad una sauna; e pure a distanza di sicurezza da bambinetti attaccati al tubo dell’aerosol quasi fossero asmatici avvinghiati al tubo dell’ossigeno.
Ad Harrogate, però, i ragazzi di cui sopra, dotati di sana e robusta costituzione, disertano le terme per dedicarsi al benessere del rock’n’roll, e danno vita ai Clean Shirts.
I Clean Shirts sono un gruppo hardcore e, dando un ascolto al loro demotape del 2012, quelle coordinate stilistiche li rappresentano alla perfezione: ritmi ossessivi e martellanti, voce urlata, nessun momento di requie.
Però la storia non è semplice come appare; e per fortuna, perché, se lo fosse stata, sarebbe di certo risultata meno interessante.
Il nome del gruppo, tanto per dire.
«Clean Shirt» è il cinquantasettesimo album di Waylon Jennings e proprio da lì deriva l’ispirazione per battezzare la banda: per fugare ogni dubbio, poi, ogni volta che salgono sul palco, i Clean Shirts omaggiano Waylon con il brano che dà il titolo all’album: potrebbe dirsi che se la suonano e se la cantano, come se gli Stiff Little Fingers aprissero ogni concerto con «Stiff Little Fingers».
Un ideale connubio tra hardcore e country, nella pratica soltanto un solitario hardcore.
Chi si perde quel demo, il cui titolo recita approssimativamente «Possiamo suonare nel tuo soggiorno e dormire sul pavimento?», in realtà non si perde granché: zero elementi di novità, altrettanti gli spunti di interesse.
In giro c’è gente che l’hardcore lo suona da decenni e lo suona per davvero, per cui ai Clean Shirts non resta che intraprendere la strada per la gavetta, nel senso che nei primi quattro mesi rimediano un paio di concerti ad Harrogate, poi in un solo mese vengono ingaggiati per una data a Manchester ed una a Liverpool, fino ad esplodere nell’estate del 2013, quando suonano a Londra e tre date in Belgio.
Tradotto, significa che il nome inizia a circolare.
Infatti, vengono messi sotto contratto da una piccola etichetta, la Chud Records, e qui la storia comincia a farsi interessante. Perché, se è vero che per la Chud incidono un solo brano, che finisce in una raccolta a scopo benefico, quel brano è «Damaged Goods» dei Gang Of Four, e questa volta la resa, pur rimanendo sostanzialmente legata a stilemi hardcore, mette in bella evidenza il tentativo di andare oltre uno schema che a lungo andare potrebbe rivelarsi soffocante.
Se ad un certo momento i Minor Threat son divenuti Fugazi, qualcosa vorrà pur dire. Il che non significa che i Clean Shirts volino alle siderali altezze di Minor Threat e Fugazi, ci mancherebbe altro; significa soltanto che la storia comincia a mostrare un qualche spunto di interesse.
Quegli spunti sono confermati dal primo lavoro sulla lunga distanza, l’ep «Smart Casual», dove i Clean Shirts mettono a fuoco con maggiore precisione ed accuratezza gli obiettivi verso cui muovere: la primitiva furia hardcore è qui temperata da rimandi garage, punk, o puramente rock’n’roll, financo wave, che dicono di un gruppo decisamente maturato rispetto agli esordi.
Conquistare la maturità per un gruppo hardcore non è necessariamente il male, non è la tomba in cui seppellire la rabbia e l’irruenza dei giorni andati.
I Clean Shirts sono consapevoli di aver imboccato la strada giusta e perseverano in quella direzione, nonostante i riscontri commerciali siano pressoché nulli. Aver perserverato, in tali condizioni, è da ascrivere a loro merito.
Ecco il 2016, che porta l’ingaggio da parte di una nuova casa discografica, la Kids Of The Lughole, ed un nuovo lavoro, ancora una volta un ep.
Il disco s’intitola «Marginal» e si muove lungo le stesse coordinate di «Smart Casual», quelle di un hardcore “evoluto”, se così si può dire.
«Marginal» è un ottimo disco, in cui le componenti garage, punk e wave divengono quasi predominanti, insieme ad una vena eclettica prima sconosciuta: con molta enfasi, è come se i primi Devo, almeno quelli prossimi alle sonorità punk, avessero premuto sull’acceleratore ed imboccato senza indugi quella strada. Forse il paragone più calzante sarebbe quello con gli eccezionali Shitty Limits, ma gli Shitty Limits li conosce nessuno, per cui non mi addentro oltre.
Di hardcore, in senso stretto, rimane poco.
Più che altro l’ideale omaggio ai Circle Jerks in «Die Young» e «Wild In The Streets»; anche se, per rimanere in tema di omaggi, suscita molta più impressione il plagio del riff di «The Witch» che all’improvviso viene perpetrato in «The Great Unwashed».
Gran disco, anche questo tra i miei personali favoriti in ambito punk-hardcore-garage del 2016.
Dategli un ascolto e supportate la banda.
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