Misconosciuto progetto perso fra i fermenti progressivi del periodo, i Clotho‘s Flail si ispirano nel nome alla Three Fates di ELPiana memoria.
Un gruppo insulso, privo di grandi capacità tecniche, guidato da un folle personaggio dal nome nobile, Whilelm H. Beatty; ai molti non dirà nulla questo cognome, ma questo giovane bassista e cantante si fregia di un blasone illustre, quello di una famiglia aristocratica il cui esponente più famoso fu il contrammiraglio David Beatty, discusso protagonista delle gigantesca battaglia dello Jutland combattuta nel 1916.
Ed è proprio allo Jutland che i Clotho's Flail si ispirano per il loro primo e unico disco, un pastrocchio dozzinale e sgradevole, corredato da arrangiamenti ottusi e testi deliranti.
La band, oltre che dal già citato Beatty, che si occupa pure delle poche parti di chitarra, è composta dal tastierista Harry Ramilles e dal batterista Mike Bethell. Questi tre figuri, folli e un po' sfigati, si danno da fare per comporre un disco di musiche francamente difficili da ascoltare fino in fondo, grette e molto spesso sgradevoli, con sperimentazioni basate su una sconclusionata batteria, tastiere dilettantesche e un'impronta di assurdo furore guerresco che rende i testi alquanto ridicoli.
Come già detto, "Iron Duke" si ispira alla battaglia navale combattuta nel Mare del Nord il 31 maggio del 1916 tra la Grand Fleet e la Flotta d'Alto Mare tedesca. E infatti si inizia con la presentazione delle due flotte contrapposte: Armies of Waves è una monotona cantilena scandita da colpi di basso sghembi e un riff di organo oppressivo, col rullante della batteria che imita un tamburo militare mentre la voce spenta e scazzata di Beatty ci elenca per ben sei minuti il nome, il tonnellaggio e gli armamenti principali di tutte le corazzate principali presenti alla battaglia, prima di parte britannica, poi tedesca; stiamo parlando di oltre sessanta navi, per cui ci si più immaginare quale effetto un simile brano possa avere.
Si prosegue con l'orrida Battlecruisers, che descrive il momento in cui inglesi e crucchi vengono alle mani e i primi si vedono affondare due navi modernissime: tutto ciò viene raccontato da una voce impazzita con grotteschi inserti di chitarra distorta e una batteria che vorrebbe imitare i colpi dei cannoni: l'insieme è osceno e disturbante. To North descrive il momento in cui i tedeschi sentono la vittoria in pugno e si fanno sotto con le loro navi, la voce qui è dell'incapace Bethell mentre il pianoforte è rutilante e sconnesso, spesso ci sono scontri ritmici col basso e solo la chitarra risulta decente nei suoi accordi banali e lenti. Pessima pure Encounter, che rappresenta gli inglesi nell'atto sbarrare la strada agli avversari con un muro di corazzate: Beatty esaltato canta le lodi del suo illustre progenitore, mentre gli altri cercano di imbastire una marcia trionfalistica con risultati pietosi; lo strumentale Firepower è un tumulto indescrivibile che vorrebbe dare l'idea della cruenta battaglia, ma in realtà da la sensazione di strumenti suonati a caso da tre idioti, e probabilmente è proprio così. Il delirio prosegue con un brano più rilassato, Escape, che narra del momento in cui i tedeschi riescono a dileguarsi e sul mare cala improvvisa la calma: vorrebbe essere un momento lirico e poetico, ma Beatty sembra sbronzo, e non si può fare a meno di ridere ai coretti insulsi e all'organo che esegue scale e altri esercizi simili.
Ci si spaventa all'attacco incasinatissimo di Dying for the Empire, con una batteria totalmente folle e fuori tempo, una chitarra arpeggiata malissimo e il pianoforte che sembra suonato a colpi di martello; anche per fare casino ci vuole una certa intelligenza, ma qui manca tutto questo. Il cantato è stonatissimo e ci racconta della sofferenza patita dai marinai con parole tipo: "They live… Then they are died… A game of death… I can't feel my legs… An head rains… Here, for the Empire". Assolutamente aberrante.
La fine arriva a salvare nostre menti con la mini suite da dodici minuti La Nuit De Juin (Lutzow, Six Fights, On The Way Home); incomprensibile il motivo del perché quest'ultimo brano sia in francese, ma tant'è. La battaglia è finita, le tre sezioni descrivono rispettivamente la perdita dell'incrociatore da battaglia tedesco Lutzow, autoaffondatosi a causa dei danni subiti, gli scontri notturni e infine il ritorno a casa con i tedeschi che riescono a dileguarsi nella notte. La composizione è più articolata e forse un pelino più curata di ciò che l'ha preceduta, ma il livello rimane infimo, anche se Ramilles aggiunge una partitura di mellotron scordato e suonato davvero male, Beatty da un prova quasi quasi non oscena alla voce interpretando vari stati d'animo, come la stanchezza, il sollievo della fuga, la rabbia di morire all'ultimo momento sulla via di casa. Il basso non si sente se non a tratti, la batteria sembra lavorare bene anche se il suo suono cambia più volte ed è spesso fuori tempo: evidentemente il risultato di sovraincisioni fatte col culo. C'è un brevissimo assolo d'organo molto semplice in "Six Fights", per il resto il pezzo rimane monotono, senza sviluppi e un po' tutto uguale. La suite finisce con la sola, bruttissima voce di Bethell che recita una sorta di preghiera per i defunti dedicata ai "Gods Of The Abyss".
Album davvero brutto, introvabile e praticamente sconosciuto, peraltro non accreditato a nessuno, inciso nel 1972 ma distribuito solo due anni dopo, "Iron Duke" è apprezzabile per la sua rozzezza parossistica, il dilettantismo affascinante, l'originalità della trama concettuale, la follia latente dei musicisti che lo hanno prodotto. Un oscuro relitto di anni d'orati, che tra splendori di ogni sorta hanno anche visto nascere perle immani di assurdità.
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