Parte con note suadenti e malinconicamente scanzonate questo splendido album semplicemente intitolato "Encounters", registrato nel 1957 da Coleman Hawkins e Ben Webster, con l'apporto non indifferente di Oscar Peterson al piano, Herb Ellis, Ray Brown e Alvin Stoller e prodotto da Norman Granz in stato di grazia.

Un disco dicevamo che si apre con questo "Blues for Jolande" dall'incedere molto "cool" e sornione (uno dei primi brani registrati con la "nuova" tecnologia stereo!!), con i due mostri sacri che si rincorrono seguendo le note "calde" e passionali dei loro strumenti (trombe a sax, per l'esattezza).

Un disco di poche pretese intellettuali ma che, forse anche per questo, trasuda una certa visceralità e passione non sempre riscontrabili nel jazz di quegli anni. Con "It Never Entered My Mind" la musica rallenta e si fa compagna e amica di confidenze da bar notturno con la resa incondizionata all'alcol e alla malinconia, come finale. Qui i due si alternano gigioni con grande maestria colorando il brano di un'eleganza stilistica e formale davvero invidiabile, sorretti dal tocco appena soffuso di un pianoforte discreto con contrabbasso e batteria ancor più delicati. Con "La Rosita" si entra in un'atmosfera leggermente "latineggiante" con un morbido tappeto di percussioni "beguine" a dare l'assist ai due strumenti a fiato che sorreggono il tutto con la solita eleganza impeccabile. Più swingante e sostenuto "You'd be so nice..." mentre col successivo "Prisoners of love" si torna alle atmosfere piacevolmente soffuse del repertorio lento e più d'atmosfera e sulla stessa lunghezza d'onda si destreggia la seguente "Tangerne". Con "Shine on Harvest Moon" si torna a una forma "blues" sempre eseguita in punta di piedi, costruita sembrerebbe sempre (e solo) per dare risalto alla piacevolezza armonica delle trame sonore costruite dai due maestri in uno scambio continuo di battute (musicali) con asoli che riprendono nel punto esatti in cui finisce quello del collega.

Ripeto, non è un disco "celebrale" e complesso questo ma un disco quasi "compagno di sbronze" che ci tiene piacevolmente in compagnia per quasi 45 minuti. Adatto per quei giorni no, quando tutto sembra andare a rotoli e non ci sembra esistere alternativa tra l'affogare i pensieri tra le braccia di una donna qualsiasi o il restare attaccati al collo di una bottiglia di whiskey.

Beh, adesso sappiate che potrebbe esistere la famosa "terza via": l'ascolto in loop di questo disco. Semplice, poco pretenzioso e, a suo modo, piacevole anche per chi mastica poco il jazz. Insomma, mica un disco "difficile" per i soliti quattro gatti. Bau bye.

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