Considero la terza di Górecki l'opera più rappresentativa del Novecento, capace di abbracciare Wagner e quello che sarà, esempio definitivo di armonia, melodia e canto che, in un raro esempio di perfezione, riescono a dialogare senza pestarsi i piedi, senza ridondanze discorsivo-musicali, senza strafare retorico. Il crescendo del canone in apertura, per magnificenza, mi rimanda sempre al Tristano e Isotta, quando quel Wagner lì, continuava a modulare imperterrito, esaltando cromatismi e asprezze, costringendo l'ascoltatore a una tensione, come se si trovasse sopra una barca in un mare agitato. E poi, beffa della beffe, a risolvere, alla fine di tutto e del tutto, arrivava la morte. E fine.

Quel cerchio magico, figlio dell'equabilità, avrebbe vinto ancora una volta, ma questa volta la vittoria sarebbe stata cinica.
Tutti i musicisti del Novecento, hanno dovuto fare i conti con quella cinica vittoria raccontata da Wagner.
Quel bypass romantico che strizzava l'occhio alla decadenza, preludio di un cambiamento, ancora troppo acerbo e distante e che avrebbe trovato il suo humus decenni dopo.

Fede e sciagura, sono gli argomenti di Górecki, polacco, spettatore suo malgrado di quella Germania che tra Wagner e Stockhausen, tra Nietzsche e i Neu!, ha fatto i conti con l'oblìo dell'animo umano.

Sostenuto.

Tranquillo.

Ma cantabile.

Comincia così, la terza, la supplica, il crescendo mozzafiato che esplode, che dribbla tutto il dribblabile, trovando conforto in una pratica modale.

Anche Górecki, come i suoi colleghi, guarda avanti tornando indietro: bordoni e modalità, come se non fosse accaduto mai nulla, come se l'esigenza del dire suonando, recitar cantando, risolvere risolvendo, non ci fosse mai stato. Signore e signori: il Novecento.
Górecki parla, perché la sua opera è definitiva, logos incluso. Racconta la fede e l'olocausto, i modi e i tempi, lo fa negli anni Settanta, rimarcando la grandezza della scuola polacca dei Penderecki e Lutoslawski. Un patrimonio non sempre conosciuto ed ecco che il remake di Colin Stetson, potrebbe tornare utile. E sì, perché già vedere il nome di Górecki tra le indiepagine è una grande vittoria, una possibilità in più.

Stetson è un sassofonista molto colto e sa che a quest'opera gli si deve molto. Un po' meno sanno dalle parti delle recensioni yeah yeah, quando accostano questa reinterpretazione ai Godspeed you! Black Emperor o agli Explosions in the sky, come se fosse la rivelazione che tutti stavamo aspettando.

Wow, suona quasi come se fosse una roba di noi giovani con la t-shirt dell'alieno, il viso scarno e bianco, gli occhiali nerd e la barbetta riccia a chiazze”. La verità è che tanto i GY!BE, quanto il primo Jonsi dei Sigur Rós che passa, quell'opera di Górecki la conoscono bene e da tempo. Sanno che quella sinfonia è molto “post-rock” (sigh!) e l'hanno amata, visceralmente, così come, visceralmente, la amo io.

E forse questo amore viscerale, mi porta a frenare gli entusiasmi per questa pur nobile rilettura di Colin Stetson.

Non credo che l'opera avvertisse l'esigenza di essere rimaneggiata in chiave “moderna”.
Moderna lo è ancora, come tutte le opere immortali. Il lavoro sulle timbriche, seppure ben fatto, ne vizia il messaggio, privandolo di quella emotività che Górecki di certo non lesinava ma che centellinava attraverso un studio pedissequo proprio sui timbri.
Il risultato finale priva l'opera di quella magia del sospeso e aggiunge prevedibilità; il progredire dei suoni è piatto e a tratti svuotato, a tratti rimpiazzato da batterie, manierismi elettronici ed esagerazioni che giocano a far vedere quanto sia “post-rock” (sigh!) Górecki. Poi io non sono un grandissimo fan della sezione fiati e dei sax a meno che non siano suonati un po' a la Morphine. Qui sono stati utilizzati con garbo (se li avessero riposti dentro la custodia era ancora meglio, ma tant'è).

Io non amo molto la pratica di reinterpretare “senza cambiare tanto ma cambiando tutto”, fino a strizzare l'occhio al pacchiano.
Io amo Switched on Bach di Wendy Carlos che fa Bach preciso preciso, ma con il moog. Per entrare nella storia puoi essere Wagner, Górecki, Bach o Carlos; per fare un remake puoi essere anche Colin Stetson, che di certo ama Górecki visceralmente, ma non abbastanza da dedicarsi semplicemente ad ascoltarlo due volte al giorno.

Però una cosa è certa: chi non conosce la terza sinfonia di Górecki, ascolterà qualcosa di non indifferente. Se amate i gruppi con i nomi strani e i dischi di tre ore e mezza con le canzoni da ventisette minuti, eccovi qua ad aggiungere due tasselli: un – comunque – buon ascolto (tra l'altro la mezzo soprano è davvero brava) e una valida occasione per andare a recuperare un po' di “musica contemporanea” che, fidatevi, non butta affatto giù.

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