"Burn Your Bones" non è il tradizionale album screamo che gentilmente vi piomba come vicino di casa. Non è proprio così convenzionale come il genere imporrebbe, diciamo che sceglie di interpretare a suo modo le venature emozionali tipiche del filone. Un album rilasciato oramai quasi dieci anni fa che è rimasto lì, incatenato nella nicchia, non così nominato su vasta scala. Eppure non me lo spiego proprio, perché qui dentro di combo letali ce ne sono parecchie. Pensate, sono pure somministrate in modo tale che non annoino fra stereotipi e banalità in cui è facile incespicare nel genere. Un disco tirato fuori da un gruppo dall'etimo spagnoleggiante (slang) aka i Comadre, che quindi vi suggerisce di puntare la bussola sulla cartina in direzione californiana. Questa volta il tragitto on the road si blocca a est della Bay Area, a Redwood City, fra la sede di Oracle e quella di Electronic Arts, dove cinque ragazzi mettono in piedi un gruppo che potrebbe rientrare comodamente nella categoria della band culto underground della zona. Il nome curioso qui dentro è uno: Jack Shirley. Se a ritroso andaste a pescare le mie recensioni vi accorgereste di quante volte compare il suo nome come produttore di svariati, svariati, svariati dischi. Uno va a registrare al suo Atomic Garden ed è nel giro che conta della scena di San Francisco, in soldoni. Per una volta è giusto che il buon Jack non stia solo a lavorare dietro le scene, ma che si metta in gioco pure lui, come chitarrista. Nei Comadre, per l'appunto.

Mettiamoceli sti sentimenti nella musica, suvvia. Se le sensazioni personali non si tramutassero in musica lo screamo non avrebbe ragione d'esistere. Ecco, i Comadre in questo sanno essere piuttosto ambiziosi. Anzi, quasi sicuramente non è questione del voler puntare in alto, è semplicemente l'esser davanti a un gruppo con il giusto estro creativo e che non ha per niente voglia di conformarsi alla combo "caos più melodia" che viene confenzionata come una produzione seriale in grado di far commuovere Henry Ford. Le cose si capiscono ben presto e nell'arco della manciata di minuti durante la quale le ossa bruciano c'è più volte una solidissima capacità di saper tirar fuori il "turning point" vincente in ogni composizione. Questo avviene senza strafare o cercare a tutti i costi quel sentore di inaspettato ed è qui che si realizza la fluidità abrasiva dei Comadre. Una cascata di riff che sommerge e ringhia in modo perpetuo, senza aver la paura di spostare i binari al di là dell'ordinaria confusione screamo. Non sorprende la dose di hardcore punk iniettata con puntualità e letale precisione, ma si può virare anche ininterrottamente su ritmiche spezzate e sbilenche con facilità disarmante. Rullate che stritolano altre rullate, un basso che strappa le redini del comando quando ci si deve preparare all'assalto e così via. I cambiamenti son all'ordine del giorno per i Comadre. Non c'è solo la frenesia incontrollata, c'è la malsanità compressa in lenti interludi o sing-along irremediabilmente malinconici. Mitragliate buttate lì a ripetizione, con le gelide grida che sembrano non riuscir a star al passo della spietata velocità che i nostri riescono ad alzare. Ultimo treno, ultima chiamata, corde vocali distrutte.

Un nastro di registrazione su cui le melodie incise son rigeneranti, eppure effimere. Tante volte sono fugaci e interrotte dal flusso di disperazione onnipresente. Il tutto s'incastra perfettamente nel disegno dei Comadre. È, anche questo, uno dei motivi per cui ti vien voglia di riascoltare ciclicamente "Burn Your Bones". Quando poi i nostri decidono di non nascondere l'anima più fragile le cose si fan proprio belle e per fortuna in mezzo a undici pezzi ci son più momenti in cui vengono cicatrizzati simili momenti. Oh, esperienza personale, c'è stato un periodo in cui se non avessi ascoltato "The Hole in the Ship, S.O.S." almeno una volta al giorno non ero contento. Provate voi a resistere all'energia che riesce a trasmettere. Ecco, i Comadre riescono proprio a esplodere e coinvolgerti come non mai. Non si è davanti a un disco freddo e distaccato, lo si capisce immediamente. È un disco vissuto. Sì, ok, non sono miei amici, quindi sta frase vuol dire tutto e niente, ma il quinto senso e mezzo alla Dylan Dog mi dice questo. Se poi lo ascoltaste rigorosamente ad alto volume, tutto quello che vi sto raccontando deflagra senza rimpianti. E chi ne vuole avere di rimpianti?

"My muscles are burnt to shit and this might be all i have left, but someone once said when you start to burn your bones, you will find everything you were born to die for. and if that's true, then consider me dust."



Carico i commenti... con calma