Pensavo che fosse l’ennesimo gruppo Grindgore. Pensavo che li avrei liquidati dopo un paio di ascolti. Ma, mi sbagliavo, per la barba di Maroni, quanto mi sbagliavo. I Coprofago non hanno avuto gusto nello sceglier il proprio nome, ma ne hanno da vendere per quanto riguarda la musica.

Era dal 1995 che nessuno faceva nulla di simile, anno in cui uscì il secondo lavoro di un certo gruppo svedese; quel gruppo erano i Meshuggah, quel lavoro era “Destroy, Erase, Improve”, quel genere era… cos’era quel genere? Ognuno gli ha dato un nome diverso, c’ è chi lo chiama Techno Thrash, chi Techno Death, chi lo liquida con “Crossover”: la realtà è che era un genere strano, così strano che non si riusciva a catalogarlo in nessun modo, così strano che tutt’ora io non lo saprei inserire in un solo vettore verbale. I Meshuggah erano un miscuglio tra Metal (Thrash o Death che sia) e Fusion: cosa c’entrano? Niente, assolutamente niente, ma se l’avevano fatto i Cynic perchè non potevano fare qualcosa di simile anche i Meshuggah? Avendo alle spalle una formazione jazzistica non gli fu difficile mettersi a scrivere assoli che sembrano rimaneggiamenti per chitarra di Brecker, nè comporre usando solo tempi dispari. Qualche aggiunta personale, come usare accordature così basse da trasformare una delle due chitarre in una parte della sezione ritmica (ovviamente sfasata con la batteria), ed il gioco era fatto; era nato un nuovo genere.

Che c’entrano i Coprofago con i Meshuggah? Semplice, sono i loro diretti eredi, peccato che abbiano preso la loro eredità prima che i Meshuggah fossero morti il che vuol dire che i nostri amici svedesi si vedono battuti sul loro terreno di gioco da dei tizi che probabilmente all’epoca di “Destroy, Erase, Improve” credevano ancora a Babbo Natale. Da dopo “Chaosphere”, il gruppo di Thomas Haake ha percorso una curva discendente che li ha portati al fiasco di “Catch 33” (che tra l’altro è un segreto tributo agli Hypocrisy). Ma continuiamo coi nostri Coprofago; in poche parole questi cinque ragazzi cileni, notando che nessuno aveva mai avuto il fegato di riprendere i Meshuggah, hanno pensato bene di farlo loro badando a recuperare il loro periodo migliore. Forti di una preparazione tecnica imbattibile e avendo completamente campo libero dopo il “restyling” dei loro Mentori, i nostri esordiscono con il solo sufficiente “Images Of Despair” per poi stupire il mondo intero con “Genesis” e confermandosi (ma non ripetendosi) con “Unhortodox Creative Criteria”.

La ricetta cambia leggermente rispetto al passato; ci sono più tastiere, sempre soffuse e rigorosamente con funzione marginale, e la componente Jazz-Fusion diventa più importante tanto che quasi la metà delle canzoni tralasciano completamente il metal per concentrarsi su quest’altro genere. E fidatevi, qui ce n’è abbastanza da fare impallidire i grandi dell’uno quanto quelli dell’altro. L’altra parte delle canzoni è comunque in pieno Meshuggah Style: il riffing, nettamente bipartito, si compone di una chitarra strettamente ritmica (e con questo termine intendo quello che spiegavo sopra) ed un’altra che segue linee completamente diverse. In ogni canzone i ritmi sono quindi tre; quello della batteria, assolutamente schizoide e rigorosamente in tempi dispari, quello di una chitarra e del basso e infine quello dell’altra chitarra, generalmente più vicina ad una forma di melodia. Il riffing è fortemente influenzato dalla scuola Thrash, Death e oserei dire anche Mathcore mentre le ritmiche sono decisamente atipiche e si rifanno più direttamente al Jazz, pur dotandolo della violenza di quelle metal.

La voce è praticamente indistinguibile da quella del cantante dei Meshuggah, una via di mezzo tra un growling pulito è il non pulito grido di un tifoso del Palermo. Splendide le linee di basso, in certi momenti viene perfino da dubitare che sia un basso elettrico e viene il dubbio che si tratti di un contrabbasso. Tuttavia, rispetto ai loro padrini svedesi, i Coprofago sono infinitamente più aerei, rarefatti, tranquillizzanti e distesi; poche atmosfere da incubo e quelle poche smorzate da canzoni o più semplicemente da passaggi più rasserenanti. Non si rinuncia per questo alla riflessione, al contrario sempre stimolata dalle composizioni dei nostri. Tracce come “The Inborn Mechanics”, “Hostile Silent Raptures” e “Isolated Trough Multiplicy” non lasciano dubbi sul valore di questo complesso.

Grandissime capacità, grandissima classe; “Unhortodox Creative Criteria” non è solo per metallari, è per tutti quelli che amano la buona musica.

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