"Caro amico adesso nelle polverose ore senza tempo della città quando le strade si stendono scure e fumanti nella scia delle autoinnaffiatrici e adesso che l'ubriaco e il senzatetto si sono arenati al riparo di muri nei vicoli o nei terreni incolti e i gatti avanzano scarni e ingobbiti in questi lugubri dintorni, adesso in questi corridoi selciati o acciottolati neri di fuliggine dove l'ombra dei fili della luce disegna arpe gotiche sulle porte degli scantinati non camminerà anima viva all'infuori di te."
Potrebbero bastare queste poche righe per descrivere un intero mondo. Un'opera viscerale che condensa, spesso con sovrimpressioni temporali e improvvisi flashback, un pezzo di vita del pescatore Cornelius "Buddy" Suttree.
Suttree è un antieroe, un auto-emarginato che ha rifiutato una vita migliore. Una sorta di "ritorno alle origini", tema caro e ricorrente nella poetica di McCarthy. Vive di pesca, di espedienti, circola nei meandri malsani di una Knoxville mai così putrida e inaccogliente. Si circonda suo malgrado di relitti umani come J-Bone, Oceanfrog, Hoghead e soprattutto Harrogate, probabilmente una delle figure più bizzarre e troglodite mai partorite in letteratura.
All'interno di questo mondo fumoso governato dalla povertà e dall'alcool, Suttree fa l'unica cosa che possono fare gli esseri umani: vivere. In un mondo che fagocita la vita, che sembra essere stato sputato apposta per ricacciare via l'uomo, Suttree e tutti i suoi amici svirgolati vanno avanti. Perchè "Suttree" è anche una storia di sopravvivenza, di chi pur relegato ai margini del creato continua a respirare la sua vita affannosa.
L'opera quarta di Cormac McCarthy è certamente la più complessa mai partorita dallo scrittore del Rhode Island. Niente di più lontano dalla scarnificazione stilistica degli ultimi "Non è un paese per vecchi" e "La strada", ma bensì uno stile denso all'inverosimile, attento al dettaglio più invisibile. Già l'incipit che ha aperto la recensione può dare l'idea della cifra stilistica dell'opera, così come una delle descrizioni più accurate contenute nel romanzo: "Poteva sentire il fiume confabulare flebilmente sotto di lui, vecchio e denso fiume coperto di rughe. Sotto il flusso dell'acqua cannoni e affusti, orecchioni incagliati che arrugginivano nel fango, barche a chiglia decomposte in mucillagine. Leggendari storioni dal corpo corneo e pentagonale, pesci gatto e carpe cupree e lucenti come lasche, con il loro ventre pallido e senza sprue, una densa fanghiglia tempestata di vetri rotti, ossa e barattoli arrugginiti e cocci di stoviglie venati di crepe nere di fango."
"Suttree" è una vera e propria epopea, un lavoro che trascende qualsiasi tipo di etichetta per entrare nel tempio delle "pietre miliari" della letteratura del Novecento. Impossibile sviscerare tutti i temi e le sottotrame venuti fuori dalla penna di McCarthy. Impossibile non perdersi nel flusso caotico e allo stesso tempo ammaliante delle parole. "Suttree" è un unicuum nella carriera di Cormac McCarthy, la sua fatica certamente più autobiografica e complessa. La lettura, soprattutto a chi non è avvezzo della prosa del "primo McCarthy", potrebbe risultare anche molto ostica. Questo perchè McCarhty entra nei suoi personaggi e ci lascia nella loro coscienza, spesso abbandonandoci a pagine e pagine di "stream of consciousness" visionari e apocalittici. Quasi lampante pensare a quel William Faulkner cui spesso per lirismo e violenza è stato accostato.
Il quarto parto letterario (1979) di Cormac McCarthy è un'opera che andrebbe letta almeno una volta nella vita. Una di quelle storie che semplicemente ti entrano dentro. "Suttree" è frutto del genio puro di quello che molti considerano il più grande narratore contemporaneo. Un autore che somma pugni su pugni, senza mai abbandonarsi al sentimentalismo, ma capace di aperture poetiche e immagini di inusitata bellezza. Un grande autore, uno di quelli che nell'epoca del trionfo della "letteratura commerciale", andrebbe ampiamente riscoperto.
E comunque, in fondo, c'è un po' di Cornelius "Buddy" Suttree in tutti noi..
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