Annotazioni sparse di un videogiocatore occasionale. Non giocavo alla Playstation da una quindicina d'anni. Ero un patito di Final Fantasy, più che per il gioco in sé, per la storia, per i mostri, le streghe e i mondi assurdi. Poi, qualche settimana fa ho visto le immagini di questo nuovo portento videoludico. Ho buttato via un po' di soldi e mi sono ritagliato qualche ora a settimana per rituffarmi in quell'incanto fanciullesco. Non mi interessava tanto il gioco, quanto la meraviglia grafica, lo stupore di impersonare figure così realistiche in un mondo così dettagliato e vasto.

Ovviamente l'avventura procede lenta, sia perché sono scarso io, sia perché ci dedico davvero poco tempo. Ma in quei minuti di rapimento totale mi sono sorte delle domande. Una su tutte: che cos'è un videogioco? Quali sono gli aspetti e le caratteristiche che lo definiscono? Mi ci sono arrovellato su un po', mentre prendevo a mazzate troll infuocati o aprivo in due zombie di ghiaccio redivivi. E da patito di cinema, mi sono dato una risposta un po' scomoda. Il videogioco è una forma d'arte, se non nuova, più recente delle altre, sicuramente più avanzata e innovativa, quella più al passo coi tempi. Un videogame ha il potenziale per essere più emotivo e coinvolgente del cinema, gli spazi narrativi per essere profondo quanto la letteratura, ma con meno fatica, e gran parte delle immagini che scorrono davanti ai nostri occhi assatanati potrebbero essere quasi considerate delle opere d'arte. C'è musica, c'è abilità pratica nel compulsare il joypad, c'è intelligenza strategica nello scegliere come combattere, c'è bisogno di pazienza per esplorare i mondi, serve attenzione e spirito di osservazione per risolvere gli enigmi, capacità decisionale quando bisogna scegliere se potenziare la propria ascia Leviatano oppure rinforzare la corazza, per essere più resistenti, anche se magari più lenti.

Non ho le competenze per dire quanto sia bello God of War in ognuno di questi aspetti, ma sono sicuro che si assesti su ottimi livelli in tutte le categorie. E mentre si affronta una missione facoltativa, il duro padre Kratos spiega al figlioletto che la sua freddezza non è distacco, ma necessità di sopravvivenza; oppure, davanti al cadavere ancora caldo di un nemico invasato da Odino, il piccolo Atreus scopre l'orrore inesorabile di dover uccidere degli altri esseri umani. O ancora, la bellezza di un mondo elfico devastata da una pianta maligna che offusca la luce. Mi sono incantato davanti ai giochi cromatici del cielo e del mare, mi sono esaltato imparando nuove tecniche di attacco, capendo come aprire il culetto a un gigante di pietra. Mi sono detto soddisfatto quando ho potenziato la mia arma grazie a una pietra lasciata in eredità da fantasmi rancorosi, che mi avevano chiesto di distruggere la statua di Thor per vendicarli. O ancora, sono rimasto a bocca aperta di fronte a un drago gigantesco, ho imprecato di fronte ai tanti enigmi per arrivare a liberarlo. E non c'è una gerarchia di importanza tra queste innumerevoli componenti: la guerra non è più importante della bellezza, i personaggi non vengono dopo le tecniche di combattimento. Tutto si tiene, e ogni giocatore può scegliere come affrontare la sua avventura. Perché l'avventura è davvero sua. La bravura dei programmatori sta nel riuscire a bilanciare tutto nel modo più dolce e ragionevole possibile. Certo, ci sono dei binari generali, ma la differenza la fanno le deviazioni che decidiamo o meno di attuare lungo il viaggio. Poche volte ci si sente in trappola, e anche quella sensazione arrichisce l'esperienza, al pari della libertà di esplorare.

Insomma, questa non è una recensione. È un racconto della ricchezza strabiliante che un videogioco può portare con sé. Mi ci vorranno mesi per finirlo, forse non lo finirò mai. Ma ho capito quanto è grande la bellezza di questa arte.

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