"Non esistono fatti, ma solo interpretazioni" (F. Nietzsche).
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L'idea che la realtà non sia ciò che appare, e, forse, nemmeno ciò che può essere sperimentato, ma risieda, piuttosto, nella interpretazione che noi diamo di essa, è stata diffusamente chiarita, a metà del XIX secolo, da quel Friedrich Nietzsche che un bel giorno impazzì, in quel di Torino, e si mise ad abbracciare un cavallo compatendolo per le sue sofferenze. Potenza della sifilide, o forse di una sensibilità fuor del comune.
Nel XX le teorie nicciane, mai troppo alla page nel bel mondo accademico dominato da un positivismo spesso acritico, sono state variamente riprese da molti filosofi, quali ad esempio Gadamer, Habermas e Derrida, i quali immaginano l'uomo come il centro di una rete ermeneutica, in cui il soggetto senziente coglie l'oggetto solo attraverso una sua interpretazione, non sempre scevra di prae sudicia - o pregiudizi che dir si voglia.
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Siamo pieni di pregiudizi: lo zingaro o l'extracomunitario non può essere che un ladro, ed un bravo sindaco non può essere che quello che smobilita i campi nomadi, o rimuove le panchine dal parco antistante alla stazione per impedire che il luogo diventi una centrale di spaccio, credendo che la rimozione dell'effetto determini - in singolare inversione logico scientifica - la rimozione della causa.
Siamo pieni di pregiudizi: per dire, il lupo non può che essere cattivo, specie se lo incontriamo in mezzo ad un bosco; la ragazzina, dolce e sensibile, non può che essere una vittima sacrificale, passiva e destinata alla morte o alla rovina; allo stesso modo la vecchia nonna della ragazzina appare destinata a finire nelle fauci del lupo, assai debole anch'essa; e la soluzione del problema non può che avvenire ad opera del cacciatore e dei valori che esso rappresenta, ovvero la forza virile e la tecnica (fucile) destinata a prevalere sulla natura e sui suoi belluini istinti.
I nostri pregiudizi talora anticipano il senso della realtà, per che molto spesso diamo per dimostrato e conosciuto quello che non è, facendoci ingannare da quel che abbiamo sperimentato, o creduto di sperimentare, ovvero da una occulta interpretazione di fatti inesistenti nei termini in cui crediamo di averli compresi.
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Questo piccolo capolavoro di tecnica e narrativa ci parla proprio di pregiudizi, precognizioni, spirali interpretative, facendoci tuttavia divertire (cosa che non è affare dei filosofi, ma dei commedianti; non di Socrate o Platone, ma di Aristofane) ed ovviamente pensare.
Ma, volendo, possiamo anche non pensare e divertirci e basta (per quanto il divertimento derivi dall'inatteso e dalla sorpresa, per cui non è esattamente gratuito come ad alcuni sembra: e torniamo alla spirale interpretativa di cui sopra).
In questo film la storia di "Cappuccetto Rosso" non è esattamente quella che conosciamo, può essere rivisitata, e le funzioni dei personaggi possono essere alterate, rovesciate e ribaltate, oppure frammentate come uno specchio (e quindi "Profondo Rosso" e "Cappuccetto Rosso" avrebbero per più di un punto in contatto).
Ai personaggi classici basta aggiungere un misterioso "Bandito Bon Bon", che mette a ferro e fuoco il bosco per rubare le ricette per dolci, ed un investigatore ranocchia che via via interroga Cappuccetto, Lupo, Nonna, Cacciatore ricostruendo una realtà plurale degna del migliore Rashomon di Kurosawa.
Il tutto con eleganza visiva, felicità di tratto, ed ironia che ammaliano, mescolando intrattenimento e cultura, cultura popolare e filosofia in maniera leggera e pe(n)sante allo stesso modo.
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