"No direction, I am compass. Constantly spinning. Constantly searching for the end. Never reaching our destination."
Così Brendan Murphy si sfogava nel 2013 tra i fiumi di parole che andavano a sorreggere “The Difference Between Hell and Home”, l’album di riferimento per la band dell’Ontario. Parole che suonano profetiche e proiettate su Murphy stesso. Non solo perché i testi sono da sempre esclusivamente suoi, ma anche per la direzione stessa intrapresa dai Counterparts. Quattro anni dopo, di quei ragazzi appena ventenni che componevano il gruppo, il solo rimasto è lui. Proprio come se simboleggiasse una trottola che si muove di impeto e moto perpetuo. I compagni a seguirlo nell’avventura sono nuovi per quattro quinti, un cambio di line-up capace di distruggere una band, soprattutto quando a uscire di scena dopo “Tragedy Will Find Us” è giunto il turno di Jesse Doreen, deus ex machina del songwriting dei Counterparts. Queste sono le doverose premesse che accompagnano l’arrivo di “You’re Not You Anymore”, un titolo che, forse, vuole anche mandare un sorriso beffardo a tutto lo scetticismo che ha circondato i mesi precedenti all’uscita.
"Collecting scars like souvenirs of pasts we can't forget."
Non so voi, ma il ritorno dell’autunno per il sottoscritto significa anche il ripiombare nelle routine musicali. Quel che voglio dire è che avrete pure voi quel disco che vi fissa, si mette prepotentemente in evidenza sugli altri e che vi accompagna quando il vetro della finestra si riempie di gocce d’acqua e il grigiore sommerge intere giornate. Il mio rituale, in questo caso, è sempre tirar fuori dalla mensola impolverata il vecchio “Love Let Me Go” dei More Than Life e calarsi nell’atmosfera del torpore di settembre. C’è una scintilla che scatta ogni volta. Vuoi che siano le melodie sferzanti come il bel vento in pieno volto. Vuoi che questa non sia una recensione sui More Than Life, ma sui Counterparts. Vuoi che... vi ho detto questo, allora per quale motivo? Perché quando ho messo su “You’re Not You Anymore” la sensazione che ho avuto è quella di aver trovato il sostituto dei miei loop settembrini. Si sa, le prime impressioni sono quelle che contano.
"You haunt me like an empty home. Priceless possession. I bring you with me wherever I go."
Il terriccio sotto le Dr.Martens è umido, pregno di una pioggia pesante che rende il fogliame vivido e lucido come non mai. Addentrandosi in solitaria tra i boschi decadenti di fine estate, il cielo concede una tregua. Uno spiraglio fugace dove poter rifiatare un attimo sbattendo la testa contro un’umida corteccia. A suo modo è un attimo di riflessione, di fuga dal freddo acciaio della città. Un tentativo di nascondersi dalle ombre che minano, come un sussulto dietro l’altro, le fondamenta di un equilibrio tanto cercato, quanto mai raggiunto. Questo è il mood che invade come linfa vitale ogni radice che crea il tronco portante di “You’re Not You Anymore”. I Counterparts non rinunciano a ricercare un fil rouge lirico con i precedenti full length, sono ben consci di essere posseduti da una fragilità che apre, cuce, ricuce e cicatrizza vecchie ferite. Ma questo è l’inizio di una nuova era. Una presa di coscienza che stritola, ossessiona come un rampicante vorace, ma al tempo stesso libera una creatura del tutto rigenerata. Il cambiamento è necessario, basta accettarlo.
"Inducing dreams in which we never met to rid myself of regret. We were a pair of fragile limbs."
L’urgenza poetica di Brendan Murphy non è più solitaria, “You’re Not You Anymore” è la summa di una band che per la prima volta si è ritrovata in studio ad attingere dall’ispirazione di tutti, anche di vecchi amici come Alex Re. Da sempre cerebrali e capaci di creare una schizofrenia ermetica, le strutture hardcore punk qui raggiungono una fluidità esecutiva come mai s’era visto nei canadesi. Don't worry. Ritmiche a velocità folli e spezzate? Yup. Le trovate ancora. Potete ringraziare il lavoro granitico fatto da Kyle Brownlee (new entry alla batteria). Breakdown terremotanti? Yup. Bruciano ancora le sinapsi. Melodie dolcemente disperate? Yup. C’è da goderne nei 28 minuti di durata del full length. Questa forse è proprio la chiave vincente di “You’re Not You Anymore”. Sul soffocante urlato di Brendan s’innesta l’intreccio pulsante e incessante delle chitarre di Blake Hardman (ex Hundredth) e Adrian Lee. Non c’è una nota fuori posto, tutto si incastra alla perfezione, cucendo sempre la giusta anima su ogni pezzo del disco. Corde emotive che cercano di sopravvivere su un traliccio sottilissimo, fino a quando questi non decide di sfilacciarsi definitivamente nel climax viscoso della titletrack finale. Il distillato più puro di cosa siano i Counterparts: un tepore e una quiete solo apparenti, che liberano una freccia in grado di trafiggere a piena velocità.
"Mark an end to aimless roaming with a double-sided knife. Taking steps towards each other, We could end both our lives, and that'd be fine."
Ecco. Vi basta saper questo per godervi il loro ritorno sulle scene. In faccia agli scettici.
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