Manieristico.

Questo, e non altro, potevamo aspettarci dall'atteso come-back dei vampiri inglesi, dopo il disastro di due anni fa, il controverso "Thornography". Manieristico, dicevo, e il chitarrista Paul Allender stesso mesi fa lo aveva annunciato: un'"aurea" mesotes tra lo stile dell'intramontabile "Dusk... And Her Embrace" e quello più vivace di "Midian" sarebbe stata la cifra del nuovo lavoro, un ritorno al sound più classico della band, insomma, confermato anche dai criptici (e un po' cazzoni, oltretutto) annunci dello storico frontman Dani Filth, che, forte del recente e aggressivo taglio di capelli, a gran voce proclamava non solo il ritorno stilistico all'epoca più amata dai fan del combo di Ipswich, ma anche che "Godspeed On The Devil's Thunder" sarebbe stato il loro album più estremo di sempre.

La verità incontrovertibile è che la chimica tutta particolare di quell'epoca indimenticata ed indimenticabile è ormai irrimediabilmente perduta, anche perché in mezzo ci sono "Damnation And A Day", "Nymphetamine" e "Thornography" che, a dispetto di ogni entusiastica e nostalgica dichiarazione di ritorno alle origini, si fanno sentire, e non poco (ascoltare "The Death Of Love" per credere, una traccia che a mio parere farà molto discutere i fan, con il suo dipanarsi completamente Gothic, che la avvicina allo stile di "Nymphetamine", superandolo però di molto sul versante melodico).

Sarebbe stato altresì stupido e irresponsabile copiare spudoratamente gli episodi più gloriosi del loro passato, ed ecco che il tutto è mitigato, potremmo dire, dall'esperienza dei lavori più recenti: un'impressione che ho avuto già dall'ascolto del singolo "Tragic Kingdom", dove in ogni caso questa miscela di elementi si fa apprezzare per la velocità e la potenza dell'esecuzione, accompagnata da orchestrazioni finalmente presenti e possenti, non più relegate ad un ruolo di secondo piano.

Tutto sommato, però, questo "Godspeed On The Devil's Thunder", un concept incentrato sulla vita e i misfatti del conte Gilles De Rais (1404-1440), un'edificante sorta di pederasta serial killer satanista ante litteram, mantiene tutte le promesse fatte dai Cradle in questi ultimi mesi, e non mancherà certo di soddisfare chi già ama e ha avuto modo di apprezzare l'operato del signor Daniele Sconcezza anche in passato; per l'ascoltatore più nostalgico sembra infatti di essere tornati a tratti all'epoca dorata di "Cruelty And The Beast", a tratti a quella di "Midian" e altre volte ancora a quella di "Damnation..." (soprattutto per la potenza delle orchestrazioni, di stampo fortemente gotico, e per la velocità dannata di alcuni brani, grazie anche alla validissima prestazione della new entry Martin Skaroupka, batterista granitico che ben sposa lo stile della Culla dell'Oscenità): pezzi come "Shat Out Of Hell" (che ricorda moltissimo lo stile complessivo di "Damnation And A Day", assieme a "Honey And Sulphur", della quale è stato fatto anche un video), "The 13th Caesar", "Sweetest Maleficia" o la title track fanno la gioia dell'estimatore della band del mitico "nano", il quale dal canto suo si impegna in una performance al limite delle sue capacità (la voce purtroppo non è più quella di "Dusk..."), regalando finalmente momenti d'atmosfera di cui si sentiva la mancanza.

Non mancano ovviamente le consuete intro orchestrali, come "In Grandeur And Frankicense Devilment Stirs", che apre l'album nel modo più classico possibile, la buona, inquietante "Tiffauges" e la conclusiva "Corpseflower", ormai più una tradizione, una consuetudine, come del resto anche l'artwork curatissimo, che rinuncia stavolta agli arabeschi infuocati in favore di raffigurazioni macabre di gusto e stile direi ... fiabesco e ‘naìve': il conte è ora un lupo cattivo, ora un mezzo maiale, o un pupo siciliano che combatte al fianco di Giovanna D'Arco, mentre nella foto di gruppo sul retro, chitarrista, bassista e batterista, tutti borchiati e sanguinanti (la testa di Skaroupka è infatti immotivatamente esplosa), tra grigie e dirute rovine medievali, attorniano un Daniele Schifezza più scazzato che mai in veste di novello Gilles De Rais, che regge tra le braccia un paffuto ed ignaro angioletto.

Sorprende scoprire che le parti della tastiera siano state incise da tale Mark Newby-Robson e non dalla bella Rosie che, evidentemente, sarà col gruppo solo in sede live, e che la storica voce femminile Sarah Jezabel Deva sia stata affiancata da altri... colleghi.

Manieristico, dicevo, questo "Godspeed On The Devil's Thunder", ma anche un deciso segnale dopo il disastroso "Thornography", un album ambizioso per i Cradle Of Filth, i quali hanno saputo però, da vera gente del mestiere, gestire in maniera impeccabile i 71 minuti di un disco che ben rappresenta lo stile canonico che contraddistingue la band. Missione compiuta, dunque, e anche se non riusciranno a farmi passare quei pomeriggi di mortale abbandono come solo "Dusk..." riusciva a fare, canzoni come "Tragic Kingdom", "Honey And Sulphur", "Darkness Incarnate", la title track e, perché no, anche la smaccatamente ruffiana "The Death Of Love" sono destinate ad essere le nuove hit del gruppo, che infiammeranno d'ora in poi le notti dei concerti dei britannici. Un ritorno sotto ogni punto di vista, dunque, degno del nome dei nostri e che poco dice di nuovo, ma lo dice senz'altro molto bene.

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