Davvero bizzarre le leggi che governano la notorietà dei dischi: si suole pensare alla formazione più influente nel passaggio dal blues al rock (lo stesso Hendrix descrisse la sua opera come una mera prosecuzione della via già tracciata dai Cream) soffermandosi sui celeberrimi capolavori "Disraeli Gears" e "Wheels of fire" e trascurando questo folgorante condensato dei concerti tenuti all'Oakland Coliseum Arena e al Winterland di San Francisco rispettivamente il 4/10/68 e il 10/3/68.

Se per designare le trascinanti jam del tris d'assi composto da Eric Clapton, Jack Bruce e Ginger Baker si coniò (ad opera di catalogatori poco originali) il termine "hard blues", il disco in parola ne fornisce la più palese spiegazione. L'apertura è affidata ad una magistrale interpretazione di "Desert Cities Of The Earth" scandita da ripetuti dialoghi tra un basso di misterioso missaggio e la cavalcante Stratocaster del futuro Slowhand. L'energica esecuzione della successiva "White Room" testimonia l'abbandono delle sognanti atmosfere flower power che avevano contaminato i precedenti lavori in studio: il pezzo è qui riproposto con un deciso cambio di rotta verso sonorità più marcatamente rock, segnato dalle costanti staffilate del buon Eric e dalle violente rullate di un funambolico Baker. Un arpeggio minimalista di Clapton introduce poi "Politician", pezzo tratto da Wheels Of Fire e reinterpretato con una ritmica spiccatamente più cadenzata. Il brano scivola via tra le reiterate divagazioni chitarristiche dal tema principale, emblematiche della capacità del trio di sconvolgere la struttura canonica delle canzoni per dar corpo ad un autentico duello tra il binomio strofa-ritornello e l'abbandono a brillanti improvvisazioni.

Superati i cinque trascinanti minuti di "Tales Of Brave Ulysses" ecco che un leggendario riff timidamente accennato da Slowhand accompagnato da un assordante boato di un pubblico delirante inaugura una versione di oltre sette minuti della celeberrima "Sunshine Of Your Love", autentica bandiera della band. Che dire di questo pezzo se non che esso rappresenta la quintessenza di un repertorio determinante nel traghettare i vecchi canoni del blues tradizionale verso i nuovi stilemi liberatori del rock. Chiude il disco un'interminabile versione di "Steppin' Out". Questo pezzo, inciso in studio da Clapton durante la breve militanza tra i John Mayall's Bluesbrakers nel '66, gode qui della rinnovata vitalità di qualsiasi canzone blues messa nelle mani di Eric e soci: le staffilate di chitarra si protraggono fino a perdere ogni legame con la melodia principale, per poi far riemergere l'arpeggio dell'inizio.

Occorre infine riconoscere a malincuore la fondatezza della critica tradizionamente mossa al disco che ho avuto l'onore di recensire: si tratta per molti di un disco pubblicato nel '72 (a gruppo defunto) al solo scopo di spremere fino in fondo le inesaurite capacità commerciali di una band tanto decisiva nel rinnovare i vetusti schemi del blues quanto incapace (causa i ripetuti contrasti in sede compositiva) di darsi lunga vita.

Carico i commenti... con calma