Ed ora, qualcosa di completamente diverso.

Quando l'ho letto, a spizzichi e bocconi su internet, quasi non ci credevo. Ho pensato ad una burla, un gioco.

Cos'hanno in comune Mogwai, Electric Wizard e Portishead tra loro? Fermi, rispondo io, in qualità di autonominato primo della classe: "Una cippa!". E soprattutto ‘fanculo ai Mogwai che oltre a tirare insulsi pompini ad uno come Zidane -e dai, l'idea della colonna sonora sul gesto atletico già è triste di per sé...- sono anche uno dei gruppi più fascinosamente noiosi del globo (cioè a parer mio, splendidi per compilations dal mood "cazzuto ma riflessivo"; da chiodata sulle palle un loro intero cd). Degli Electric Wizard invece non discuto, li amo, li considero quasi meglio del sesso tantrico nonché una delle band più evocative e potenti di sempre, e idem per i Portishead che a loro modo e per versi completamente opposti si alimentano di un'oscura grazia e di uno ‘charme' che travalica i personali gusti per il genere.

Dunque siamo al punto di partenza. Cosa ci fanno nello stesso disco Justin Greaves (ex batterista di Iron Monkey ed Electric Wizard appunto), il bassista dei Mogwai Dominic Aitchison, Andy Semmens e Kostas Panagiotou dei Panthiest (mi mancano, se li conoscete fate un fischio) più Joe Volk dei Gonga (ce li ho: heavy-psych-stoner da tenere d'occhio) prodotti dalla Invada Records, gestita proprio da Geoff Barrow dei Portishead??? Ci fanno un disco. Cazzo, penso, se poco poco si avvicinano ad un presentabile mix tra i diversi stili dei gruppi d'origine hanno sfornato l'album del secolo e non ce n'è più per nessuno!

Ed invece nisba, nada, niet... tutt'altro. Registrato in maniera primitiva amplificando appena appena attrezzature risalenti all'epoca vittoriana (wow!), sospeso tra frattali scuri e ballate dal sapore arcaico, "A Love Of Shared Disasters" è il classico disco definibile come d'atmosfera. E pur evitando paragoni inopportuni, una considerazione ovvia: se è vero che certa roba viene bene solo a gente come i Dead Can Dance (che fanno propriamente della musica arte), qui d'arte non ce n'è, e la musica è ridotta all'osso. "Ispessimenti paranoici": che in lingua italiana non vuol dire propriamente nulla se non che uno come David Lynch sopra un disco così ci si tirerebbe le seghe per un anno intero, girando appositamente uno psicodramma-fantahorror dal sicuro successo. Tutto molto scuro, molto soundscape, molto colonna sonora per la fine del mondo. Con aumenti di tono appena accennati, folk songs elettroacustiche dal sapore novembrino che lasciano un po' il tempo che trovano e che soprattutto sanno di già sentito... scopiazzato... e ancora, già sentito.

A tratti una noia mortale, a tratti due minuti di sospiri eterni, poi di nuovo noia.

E non ho detto gioia.

Ma "due minuti".

 

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