Per una volta sarò sintetico, ma converrete con me che, alla luce di quanto riferirò, le mie parole saranno comunque sempre troppe.

Poiché per descrivere questo album basta un aggettivo: inascoltabile.

E sì, questa volta anche il più grande fan della Corrente dovrà capitolare innanzi all'evidenza: l'evidenza agghiacciante di un lavoro che non può essere in nessun modo apprezzato da orecchio umano.

Ma anche nelle sue operazioni meno convincenti, Tibet riesce a combinare qualcosa di raro, in questo caso potremmo aggiungere “unico”. Perché nessuno mai nella storia della musica ha osato quanto hanno osato David Tibet e Steven Stapleton in questo album: “The Great in the Small”, pubblicato nel 2000, raccoglie in sessantun minuti ultra-compressi tutta la discografia dei Current 93 dagli esordi all'EP “Faust” (circa vent'anni di carriera), compresi tutti i brani presenti nelle svariate compilation, tutti i remix, tutte le b-side e tutte le registrazioni compiute da Tibet e Stapleton non uscite a nome Current 93 e Nurse with Wound.

No, forse non ci siamo capiti: “The Great in the Small” non è una raccolta, è un'unica traccia che contiene in una sconcertante simultaneità tutto il materiale registrato dalla Corrente, vale a dire, decine e decine di ore di musica, il tutto in sessantun minuti.

Ripeto: tutto il materiale dei Current dai suoi primi anni di carriera al 2000, e non è che Tibet lungo il suo cammino abbia lesinato le uscite discografiche. L'effetto? E' come accendere contemporaneamente una decina di apparecchi fra lettori cd, mangianastri e giradischi. Quindi: una cosa pazzesca.

C'è indubbiamente un poderoso lavoro dietro alla cacofonia imponderabile di questi sessantun minuti, e Stapleton e Tibet (plus Colin Potter in veste di ingegnere del suono) si confermano ottimi assemblatori nel riuscire (velocizzando laddove necessario) a mettere tutta questa roba insieme, strati e strati di musica in cui ovviamente la somma è infinitamente inferiore alle parti prese singolarmente: una minuziosità che può esser pari solo alla follia che anima un intento del genere.

In pratica “The Great in the Small” è un incesto inverecondo di tutti gli album dei Current 93, dove le striscianti tracce esoteriche degli esordi copulano con i lavori della maturità folk: insomma, un turbinio infernale dove nonni, padri, zii, figli e nipoti si lanciano in un'orgia vorticosa che lascerà ben poco spazio al piacere dell'ascolto.

No, questo album non si può ascoltare: solo negli ultimi minuti, dopo quasi un'ora di orrenda cacofonia (un estenuante maelstrom di voci dissonanti e suoni ovattati che sprofondano negli inferi della più dolorosa insensatezza) sembra possibile raggiungere un momento di catarsi, in cui a predominare è l'epico, misticheggiante harmonium di “Good Morning, Great Moloch” (dal funereo “Sleep Has His House”). Ma è veramente poco per rivalutare un'impresa di questo tipo. Anche la copertina (un collage delle cover di tutte le pubblicazioni dei Current, ad opera del sempre ottimo Babs Santini) è carina, ma certo non basterà a ripagare i soldi spesi per questa immonda operazione discografica.

Un “senza voto”, quindi, che diplomaticamente si va a porre in mezzo allo zero assoluto della resa finale del prodotto e al massimo dei voti che si può meritare, per audacia, l'idea di poter coronare un intento del genere.

Per tutti, ma proprio per tutti: un acquisto da evitare come la peste, a meno che si abbia tempo da perdere e la pazienza di cogliere gli infiniti dettagli serviti su questo infernale piatto.

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