Quando si tratta di musica pop, ho quasi sempre cercato di tenermi alla larga. Per Cyndi Lauper però ho fatto un’eccezione. Di lei ho amato l’anticonformismo e una certa sua misurata eccentricità, oltre ad una vocalità abbastanza particolare che le consentiva di passare con disinvoltura da interpretazioni un po’ sbarazzine alle ballad più intense. Questo album, trattato non troppo bene dalla critica alla sua uscita (1989) e con un riscontro di vendite inferiore alle aspettative. è stato forse quel mezzo passo falso (però decisivo) su cui inciampò la sua carriera.

Eppure, a me questo A NIGHT TO REMEMBER è sempre piaciuto. Apre subito con il pezzo più bello, la hit single «I Drove All Night»: un brano firmato da un duo autorale di punta in quegli anni (Tom Kelly e Billy Steinberg, sono quelli di “Like A Virgin” tanto per capirci) – che avrebbe dovuto essere lanciato da Roy Orbison, cui la nostra Cyndi “rubò il tempo” facendolo suo con una interpretazione molto moderna. Pensiamo alla narrazione maschilista di quegli anni per cui avrebbe dovuto essere l’uomo a guidare tutta la notte per raggiungere il suo amore, mentre lei “pazientemente lo aspettava”: qui – c’è un bel video in proposito – lo stereotipo è ribaltato, e per essere trentacinque anni fa … non mi sembra cosa da poco!

Quasi allo stesso livello - firmate dalla stessa coppia di autori - metterei altre due canzoni, «My First Night Without You» e «Heading West», mentre su un gradino più basso, ma sempre notevoli, la title track, la conclusiva «I Don’t Want To Be Your Friend» e anche «Unconditional Love»: tutta una serie di ballate in medio tempo (sempre sui temi delle delusioni d’amore, niente di nuovo in questo senso) interpretati dalla bella Cyndi con vocalità ampia e riconoscibile e la sua consueta intensità espressiva.

Valuterei come dignitosi, seppur meno buoni, gli altri pezzi ma avrei volentieri fatto a meno dell’astruso “frammento” (poco più di un minuto, con una sonorità vagamente folk) intitolato «Kindred Spirit» che funge da intro ed outro all’album: residuo in realtà di un omonimo progetto di colonna sonora per un film con lei stessa protagonista (assieme a Jeff Goldblum) uscito e poi subito ritirato a causa del flop al botteghino.

Complessivamente, sarebbe servita forse una produzione più essenziale e meno “carica” di percussioni così come di contributi strumentali tanto numerosi quanto irrilevanti (tra i credits alle chitarre c’è perfino Eric Clapton e potrebbe essere suo l’assolo – vabbè! – di «Insecurious») ma quelli erano i tempi.

E allora, nonostante questi aneddoti e seppure ben inferiore ai due che l’avevano preceduto (cioè “She’s So Unusual” e “True Colors”) questo album non lo butto certo nel cestino: per chi mi vuole credere, garantisco ancora oggi un gradevole ascolto.

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