Ultimo giorno della Prima Guerra Mondiale (!!!): la giovane recluta Joe Bonham rimane gravemente ferita in seguito allo scoppio di una granata. Dopo ripetuti interventi chirurgici perderà braccia e gambe, mentre le lesioni al volto gli precluderanno vista, udito, olfatto e l'uso della parola. Il suo destino sarà quello di attendere impazientemente la morte in un letto di ospedale, completamente isolato dal mondo, al di fuori di ogni cognizione di spazio e di tempo, ed in compagnia del suo solo cervello.

Nel 1971 esce l'opera prima (nonché unica) del sessantacinquenne Dalton Trumbo, scrittore e sceneggiatore distintosi negli anni per le sue lotte pacifiste ed antifasciste (iscritto al partito comunista, fu perfino arrestato durante il maccartismo). Ispirato ad una vicenda realmente accaduta, e tratto dall'omonimo romanzo dello stesso Trumbo edito nel 1938 (e sulla base del quale fu allestita dallo scrittore stesso una trasmissione radiofonica), "E Johnny prese il fucile" è divenuto in America un vero e proprio cult-movie della propaganda anti-bellica, mentre in Italia è rimasto per molto tempo un titolo pressoché sconosciuto. I più apprenderanno della sua esistenza attraverso il videoclip di "One" dei Metallica, che comprenderà nel montaggio spezzoni tratti dal film.

Seppur non si tratti di un capolavoro ed a momenti potrà inevitabilmente risultare un po' pesante, il film costituisce un episodio unico nella storia del cinema, proprio perché concepito da un non-regista e costruito non seguendo le regole del cinema canonico: la regia è elementare e didascalica (quasi assenti i movimenti di macchina, mentre abbondano le inquadrature fisse), ed è evidente come il flusso narrativo risenta pesantemente dell'originario concepimento dell'opera come testo letterario. L'onestà e la passione con cui il regista confeziona il suo progetto di una vita ne fanno tuttavia un'opera davvero interessante e per certi aspetti imperdibile.

Alle desolanti scene in ospedale (girate in banco e nero, e con la voce fuori campo del soldato che ne esplicita i pensieri e le ossessioni), si alternano (girati a colori ed adottando uno stile surreale e pregno di simbologie) i ricordi del passato e gli incubi che scuotono la psiche del soldato, in preda al delirio e alla disperazione. E su questo contrasto si evolve la narrazione, mai lineare ma perfettamente comprensibile, di quest'opera, sospesa fra crudo realismo ed oniriche visioni.

Il confuso risveglio, lo sgomento con cui il protagonista prende progressivamente coscienza della sua assurda situazione, l'angoscia legata all'impotenza, la disperazione per l'indifferenza del mondo circostante (Johnny, comunicando mediante il linguaggio morse con secchi movimenti della testa, dimostrerà ai medici di essere pienamente in grado di intendere e volere, ma verrà cinicamente ignorato ed isolato alla stregua di un segreto militare), il rapporto con una infermiera (l'unica a comprendere la situazione emotiva del degente), la sofferta richiesta di morte, il delirio, fino all'agghiacciante e desolante finale: il tutto raccontato con freddo realismo, ma anche con sarcasmo e pungente ironia (imperdibili i sogni, ricchi di personaggi folli e allucinati, ed in particolare le scene in cui farà la sua comparsata un ottimo Donald Sutherland nei panni di un Cristo grottesco e stralunato!), e senza mai scadere in buonismi e sentimentalismi a buon mercato. Quel che ne viene fuori è un'esperienza amara, ma non priva di una certa vivacità di fondo e di un certo humour nero che non mancherà di strappare, qua e là, qualche sincera risata.

Lo stesso protagonista (uno sorta di straziato "Tommy" ante litteram, spogliato di tutti i contorni giocosi della celebre opera degli Who, e rivestito di quella "anonima normalità" che lo rende il miglior rappresentante della vittima universale della follia bellica), viene costruito con sobrietà, senza particolari artifici psicologici e senza la ricerca di particolari ponti empatici con lo spettatore, che seguirà le sue triste vicende condividendone le sofferenze più a livello razionale che emotivo. Il film, del resto, è e rimane un'opera di denuncia, un manifesto pacifista in cui, forse troppo esplicitamente ed in modo eccessivamente didascalico, si viene a rappresentare la macchina perversa che è la guerra, sorretta e giustificata da tutta una serie di fattori (la politica, la scienza, la religione, la cultura, la famiglia) che compongono un sistema impazzito ed autoreferenziale, dove nessuno è pienamente colpevole e cosciente del proprio ruolo attivo (e quindi apparentemente al di fuori di ogni responsabilità diretta e consapevole), ma dove al tempo stesso tutti concorrono al alimentarne l'inesorabile funzionamento.

Sempre attuale nel messaggio di fondo, "E Johnny prese il fucile" è anche un saggio spietato sull'alienazione della mente (veramente cagione di ansia e claustrofobia per lo spettatore tutti gli arzigogoli speculativi del povero protagonista, il "troncone pensante" intento a farsi una ragione di un'esistenza totalmente relegata nella sua testa e tagliata fuori da ogni comunicazione con l'esterno), che, a mio parere, diviene ancora più attuale se si hanno in mente gli odierni dibattiti sui temi dell'eutanasia, sul senso della vita e sulla sua pretesa sacralità. Da vedere.

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