Sembra un miracolo che sia vivo e probabilmente deve sembrare un miracolo a lui stesso. I suoi problemi con l’alcol erano già noti ai tempi dei Green On Red e non so quanto siano romanzate le storie che nel 2012 accompagnano l’uscita di The Deliverance Of Marlowe Billings - forse per nulla - e che raccontano di un divorzio tempestoso, di un ricovero in una clinica psichiatrica di New York, di una fuga in Messico e di tendenze suicide. In ogni caso Dan Stuart, nato a Los Angeles ma cresciuto a Tucson, Arizona, è certamente un sopravvissuto.
Il numero di gennaio 1986 de L’ultimo Buscadero (mi pare che in copertina ci fosse un primo piano di Tom Petty un po’ di profilo, ma la memoria potrebbe tradirmi) conteneva il Reader’s Pool 1985, ossia i migliori album, film, libri ecc. usciti nell’anno appena concluso, secondo i lettori. Nella sezione 33 giri, il primo posto era condiviso, ex aequo, da due album: Gas, Food, Lodging dei Green On Red e Raindogs di Tom Waits, per me, allora, entrambi sconosciuti. Io e Pasquale, il mio solito compagno di Liceo nonché di sogni ed avventure Rock’n’Roll (che ormai sento molto raramente), decidemmo di colmare le lacune e di comprare i due dischi suddetti. Estraemmo a sorte ed a lui toccò Gas, food, lodging, a me Raindogs, che sul sottoscritto ebbe effetti devastanti ma di cui non vi parlerò in questa occasione.
Così conobbi Dan Stuart ed i Green On Red, classico esempio di band giusta nel momento sbagliato. Troppo retrò ed orientata al recupero delle radici per quella prima metà degli anni 80 ancora molto New Wave e troppo in anticipo per poter conseguire il successo che negli anni 90 raccoglieranno i paladini dell’Alternative Country.
Nel 1995, conclusa ormai l’avventura con i GOR, Dan pubblicò il suo primo album solista, Can o’Worms. Dopo di che ci fu il nulla (se escludiamo la collaborazione col suo amico Steve Wynn per la reunion del duo Danny & Dusty) fino alla pubblicazione, diciassette anni dopo, di questo The Deliverance Of Marlowe Billings, autobiografico sin dal titolo poiché Marlowe Billings non è altri che Dan Stuart stesso. Concept album, quindi, uscito quasi contemporaneamente ad un libro che porta il medesimo titolo. The Deliverance of Marlowe Billings. A False Memoir by Dan Stuart, che descrive la sua vita on the road, i suoi amori ei suoi demoni, al quale faranno seguito nel 2016 e nel 2018 altre due novelle sempre in parallelo con altrettanti album omonimi, Marlowe’s Revenge e The Unfortunate Demise of Marlowe Billings.
La liberazione di Marlowe Billings è un album che a parere del recensore va classificato sotto la voce “piccolo capolavoro”. Un lavoro sincero e sofferto, costituito per lo più da accorate ballate crepuscolari arricchite dalla voce struggente di Dan ed ottimamente suonate dagli italiani Sacri Cuori, band romagnola guidata da Antonio Gramentieri, non nuovi ad importanti collaborazioni (Steve Wynn, Howe Gelb, John Parish, John Paul Jones, Hugo Race, Alex Chilton, Hot Tuna).
L’album si apre con una ballata in stile Green on Red, “Can’t Be Found” che narra della sua separazione e della triste fuga da NY, introdotta da una chitarra acustica che apre alla sezione ritmica e alle note cariche di solitudine di una chitarra elettrica e di un pianoforte. Segue “Love so rare”, divertissement della durata di un minuto e quarantuno secondi, praticamente uno Jingle da giostra. Lo shuffle lento della delicata ed emozionante “Gonna Change” è dedicato al figlio che Dan vede sempre meno. Con “Clean White Sheet” e con l’irresistibile inno di “What Are You Laughing About” Dan si concede un paio di sortite in territori più schiettamente rock’n’roll dove il ritmo si fa più serrato e l’aria più fremente di elettricità. “Love Will Kill You” è un’altra ballata eterea, quasi sussurrata dalla voce lacerata di Dan, in cui fanno capolino i Green On Red che suonano una jam session con Howe Gelb in qualche ghost town sperduta nel deserto. l’opera, tuttavia, trova il momento più alto e suggestivo nella cinematografica ed anch’essa desertica e polverosa “Gringo Go Home”, crepuscolare omaggio al Peckinpah del Mucchio Selvaggio ed alla musica di frontiera, in cui si ha l’impressione di percepire l’odore pungente della polvere da sparo, ed il tintinnare di bicchieri colmi di mezcal e tequila. “Gringo go home, before you die”. “Gap Toothed Girl” è semplice e vitale con una melodia accattivante che a me ricorda i Byrds. Una canzone in cui Dan cerca di liberarsi dei fantasmi che lo perseguitano e di ritrovare un po’ di solarità. Ma è un momento, perché subito dopo Dan ci serve un altro calice di assenzio. “What Can I Say”, poetica e struggente, con un suono contaminato da varie suggestioni musicali, in cui confessa, “I can’t go on, I can’t go on…”, affermando però, infine, più rivolto a se stesso che all’ascoltatore, “I must go on!”. Il disco si chiude con “Searching Through the Pieces”, bellissima, intrisa di lirismo con un suono in crescendo dominato dalla chitarra acustica, dal pianoforte e dall’accordion e con la strumentale “Cetina’s Lament”, onirica e minimale, ispirata ad una lirica di Gutierre De Cetina, poeta spagnolo cinquecentesco.
In definitiva, l’album che fece riemergere Poor Old Dan dall’oblio in cui era sprofondato per diciassette anni. Un disco scritto col cuore, da un uomo che lottava contro i propri demoni con un pugno pieno di rabbia e l’altro di dolente dolcezza per sublimare il dolore, il rimpianto, per bruciare la malinconia e rimettersi in cammino. Album romantico e brutale di un uomo diretto verso il prossimo disastro.
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