Tra Innovazione e Tradizione: Beethoven, Liszt e Barenboim

Cosa hanno in comune il III Concerto per pianoforte ed orchestra di Beethoven e il I concerto di Liszt? Forse il fatto di essere e rappresentare, anche nel sentire di Daniel Barenboim che in questi giorni li ha eseguiti prima a Torino e poi a Roma, un cambiamento epocale.

Entrambi i concerti 'sostanziano' una forma ereditata dal passato di nuovi contenuti, in cui eloquenza, retorica, idealismo,si intrecciano, scontrano, fondono, si allontanano. Uno inizio di cambiamento, Beethoven, l'altro arrivo e immediata presa di distanza.

Innovazione e tradizione in entrambi.

Innovazione e tradizione nell'interpretazione fatta da Barenboim, soprattutto per Beethoven. Eleganza tutta inglese la sua, da sempre basata sul poco: poche le linee, pochi i cambi di fraseggio, poche differenziazioni nelle dinamiche e di contro, lucidità e fermezza nel controllo delle tensioni ma anche delle passioni, una intensità emotiva sempre dosata, calibrata al punto da sembrare talvolta più esterire che realmente sentita. Barenboim ha volutamente 'sottolineato', ha accostato il vecchio ed il nuovo di una prassi esecutiva 'di tradizione' sentita come passata ma punto di partenza per una innovazione futuribile, anche dal punto di vista della resa esecutiva; il risultato è stato un III concerto alla ricerca di qualcosa che ancora non fosse stato fatto e che fosse rimasto inesplorato,un III interessante per alcune scelte di gusto, come tali però altrettanto discutibili.

Classicista ma non classico. Romanticheggiante, non romantico.

Nessuna concessione all'intimità meditativa, estatica, contemplativa, quasi improvvisata del Largo sentito da Barenboim piuttosto come un Adagio. Nessuna concessione alla vena umoristica. per una volta davvero gustosa, dell'agile tema del 3 tempo, uno di quei temi che sembrano essere stati raccolti dall'organetto di qualche sconosciuto musicista di strada e poi processualizzati e trasfigurati da Beethoven. Un 3 tempo in linea con la rilettura carica e.. caricaturale dell'intero concerto in cui l'umorismo ha ceduto il posto ad una ironia poco consona però alla scrittura tipicamente 'maschile' di Beethoven.

Scelte.

Scelte non sempre condivisibili dal punto di vista della comunicatività del contenuto artistico/musicale e non sempre impeccabili da quello del buon gusto, tuttavia scelte di un pianista che è un artista e che se non altro, contrariamente ad altri, non ha mai voluto contrabbandare una immagine di sè che non fosse manifestazione del proprio modo di essere e sentire.

Scelte che l'inertpretazione di Liszt ha rivestito di luce nuova poichè, senza fratture di sorta, Barenboim vi ha lascitato trapassare l'ironia di cui aveva investito il concerto di Beethoven. Intesa perfetta con Pappano, prove serrate e convulse hanno permesso di restituire a I di Liszt la carica di originalità provocatrice e dissacratoria che lasciò... sconcertati ascoltatori e critici del tempo. Il controllo dell'aspetto emotivo, l'humor inglese, poco adatto all'Eloquenza beethoveniana, hanno trovato terreno fertile nell'eloquenza insistente, deformante e grottesca, larmoyante, ma anche ironica e beffarda, parodica, di un Liszt dalla verve inesauribile. E il pianismo di Barenboim si è fatto iper scintillante, spavaldo ed elegantemente aggressivo, come logica conclusione della premessa rilettura del Beethoven iniziale.

Un concerto particolare, poco 'catturante' dal punto di vista emotivo, ma affascinante da quello intellettuale. Comunque una lezione.

Vera Mazzotta

Carico i commenti... con calma