La storia inizia alle 10.15 di un sabato sera come tanti altri, con una goccia che cade e tre ragazzi immaginari, antieroi del vuoto esistenziale e dei sobborghi industriali inglesi di fine anni settanta. E' soprattutto la storia di Robert e della sua poetica stralunata, dei suoi sogni e dei mondi paralleli che ama raccontare. Una sensibilità che non segue schemi né regole, incapace di vivere il proprio tempo, e alla disperata ricerca di una via di fuga dal conformismo dilagante. Il mondo per Robert è infatti una perenne fonte di inganni e disillusioni, che si coagulano fino a pesare addosso come macigni.

Daniela Cascella, giornalista e competente musicologa, cerca di scavare nell'enigmatico universo dei Cure e di dare una libera interpretazione ai flussi di coscienza di uno dei massimi spiriti guida della dark-wave britannica. L'autrice analizza con precisione maniacale quei versi modellati sul male di vivere e sul senso di angoscia, ma pervasi da un ineguagliabile gusto romantico e decadente. Uno studio dal gradevole tocco personale, che attraversa tutto il percorso di vita di Smith e soci, dall'oscurità degli esordi alle molteplici crisi di identità degli anni ottanta, fino al periodo della maturità e all'accettazione della dolce estraneità del mondo.

Il libro della Cascella si sofferma sui temi ricorrenti del doppio, dell'ossessione per il buio e per il vuoto, ma spiega anche gli arguti nonsense e la capacità di ironico distacco. E' particolarmente interessante la ricerca delle fonti ed assonanze letterarie che si incontrano nelle varie liriche. Non solo le più evidenti e conosciute, come “Lo Straniero” di Camus nel testo di “Killing An Arab” o i richiami kafkiani di “At Night”, ma anche quelle più velate dei vari Eliot, Milton, Carroll etc. sparse lungo tutta la discografia del gruppo. Influenze che forniscono una parziale chiave di lettura ai componimenti di un artista anticonvenzionale e che ne mettono in luce ancor di più la grande versatilità.  Perchè Robert Smith non è solo la rockstar depressa e paranoica sulle orme della propria ombra, ma anche quel divertente clown innamorato di un gancio per carni. Il simbolo di una generazione incerta e confusa, che cercava il cambiamento ed una nuova forma di espressione. Certo il tempo ha placato quel malessere, smorzate le tensioni, probabilmente ci ha reso meno sensibili rispetto ad allora e più inclini alla commiserazione. Ed ora che corre tutto via come fosse la fine del mondo, resta la profondità di quei suoni. E di quelle parole. "It doesn't matter if we all die”.
     

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