Tratto da "Un destino ridicolo", romanzo uscito nel '96 e scritto nientepopodimenoche' da Fabrizio de Andre' e Alessandro Gennari, il film di Daniele Costantini fa la sua apparizione nelle sale a novembre del 2008. Presentato nelle recensioni e negli articoli di molti stimati quotidiani come film drammatico, la pellicola rischia di finire dritta nella dicitura comico-trash.

Il film parte benino narrando la storia di Carlo, giovane garzone genovese, che si improvvisa "pappone" di tre prostitute rimaste senza, e si innamora perdutamente di una ragazza fiorentina di nome Maritza. Carlo si fa affiancare nel lavoro anche dalla madre, ben felice di incassare il denaro, e nel frattempo conosce Bernard, malavitoso francese "di classe" che lo coinvolge in un colpo assieme a Salvatore, pastore sardo approdato a Genova per rifarsi una vita lontano dai suoi trascorsi oscuri. I tre organizzano il colpo nonostante gli attriti - infatti Salvatore intende riscattare una delle prostitute di Carlo di cui si è invaghito -  e lo portano quasi a termine.

Il film parte benino, si, ma presto si capisce che qualcosa non sta andando. Se all'inizio si è inteneriti dalla goffaggine di Carlo, dopo un po' questa risulta stucchevole e verso la fine e' sbandierata al limite del ridicolo. Le scene si susseguono assomigliando sempre di più a sketch comici, specialmente quelle in cui appaiono anche Bernard, stereotipo della vecchia volpe che la sa lunga e sempre col ghigno in volto, e Salvatore, stereotipo del pastore sardo inespressivo, duro e amante della terra come bene piu' prezioso. Nei fatti quest'ultimo è veramente inespressivo, è più una macchietta che un'interpretazione, cosa che vale anche per gli altri e il trio arriva a ricordare pericolosamente Aldo Giovanni e Giacomo (!).

La recitazione è mediocre, soprattutto nel caso della madre di Carlo, eccessiva, teatrale, ridicola, ma tutti i personaggi lasciano incredibilmente a desiderare e la migliore in scena sembra essere Tosca d'Aquino, che quantomeno è a suo agio nel suo accento partenopeo. I dialetti infatti sono stravolti: Carlo, genovese, ha accento lucano; Bernard il marsigliese parla romano e Maritza è abbastanza lontana dal fiorentino.

Le due citazioni di de Andrè sono tremende: se il brano "Amore che vieni, amore che vai" appare fuori luogo in un contesto così grottesco, la frase con cui si rivolge Bernard a Carlo a metà film è stomachevole. Carlo: "Ho un progetto in mente." Bernard: "Lo conosco, il tuo progetto. Ha due belle tette e una bocca di rosa".

In conclusione si tratta di un film che forse voleva partire impegnato, ma che è finito in un amalgama di recitazione pessima, regia incerta e comicità di bassa fattura che sicuramente non merita la definizione drammatico. Ma è soprattutto faber che non si meritava di essere trattato da specchietto per le allodole, e con lui i protagonisti di quelle canzoni che ci hanno fatto piangere.

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