E' stato strano scoprire così, tramite una pagina di Facebook aperta per caso, che Nino non c'è più. Il professore di storia dell'arte che per tre anni, sparpagliati nei miei cinque di scuola superiore, mi ha strappato più volte un sorriso in mezzo al grigiore della seconda metà degli anni '90 ha smesso di insegnare per sempre. E anche di fare qualsiasi altra cosa.

A scuola, al liceo, non ero nessuno, vivevo intrappolato in una realtà che odiavo e che ha fatto sì che uscissi dalla maturità con 19 anni sui documenti ma ancora 15 in testa. Poi ho corso per recuperare. Proprio dopo l'esame orale di maturità tornai a casa sentendo le catene sciogliersi, respirando l'estate per la prima volta a pieni polmoni dopo anni di inverno, mi sedetti sul divano e guardai "La scuola" di Daniele Luchetti. Così, non so perchè, ma mi mise in pace.

Quello fu anche, con ogni probabilità, l'ultimo giorno in cui vidi Nino: era Luglio del 2001, le Torri Gemelle erano ancora in piedi e Bin Laden sarebbe scappato per altri dieci anni. Non lo salutai, non gli strinsi la mano, forse non gli perdonai la sua pochissima severità da professore che in quanto tale doveva tenere durante le sue ore impedendo che la classe diventasse un calderone di bestemmie e carte che volavano, ma quel che è più grave è che non seppi assaporare a pieno gli insegnamenti extra-scolastici che era in grado di dispensare. Lo ammiravo come uomo, ma ero troppo sulle mie per dimostrarlo. Però quella sera in cui invitasti a Monza alcuni studenti per assistere ad una proiezione di non-so-quali diapositive io c'ero; in fondo, nell'angolo, al buio, ma c'ero. Neanche allora sapevo di quali diapositive di trattasse, ma per te ero lì. Ero piccolo, dentro più che fuori, ora sono più grande.

"La scuola", per me, parla di lui come può parlare di tanti altri per chiunque abbia saputo vedere in un professore non una minaccia ma una spinta al miglioramento, è uno dei tanti film in ambito accademico partoriti dai 90s italiani, per la precisione nel 1995. Forse il migliore. Durante l'ultimo giorno di scuola in un istituto della periferia romana il generoso professor Vivaldi (Silvio Orlando) cerca di salvare il salvabile in una classe sciagurata, piena di studenti a rischio di bocciatura. Lo affianca nell'impresa la professoressa Majello (Anna Galiena), la quale cova un amore misterioso all'interno della scuola che le ha ridonato vitalità dopo anni vissuti in un matrimonio spento e senza emozioni. Il severo ed energico vicepreside Sperone (Fabrizio Bentivoglio, il migliore in assoluto) però non è della stessa idea ed assieme ad altri professori meno aggressivi ma densi di cinismo quali Cirrotta (Antonio Petrocelli) e Mortillaro (Roberto Nobile) lotterà fino all'esaurimento per decimare la classe; completano la sessione di scrutinio altre figure di docenti indifferenti all'epilogo finale (Gea Martire, Vittorio Ciorcalo, Anita Zagaria) e/o deboli di carattere (Enrica Maria Modugno) che hanno come unico pensiero quello di terminare la giornata in breve tempo, mentre l'intera seduta è supervisionata da un preside (Mario Prosperi), ignorante quanto basta ("conosce le Metamorfosi di Kafka?" "Mi spiace, non l'ho visto.."), che incarna la figura accademica di un Ponzio Pilato dei nostri tempi.

Fra momenti di intimità, flashback, litigate e disperate interrogazioni per risollevare i voti dei ragazzi, durante quest'ultimo giorno di scuola vissuto sul duello Vivaldi - Sperone le vicende personali dei docenti salgono in superficie in tutta la loro instabilità, il soffitto della biblioteca crolla schiacciando a terra gli amori tramati di nascosto, ogni desiderio di cambiamento di una realtà ferma ("i veri ripetenti siamo noi" dice sconsolato Sperone mentre cala il tramonto sulla palestra) e le speranze di rinnovamento di un sistema di insegnamento statico ed ininfluente sul futuro ("la scuola italiana funziona solo con chi non ne ha bisogno" tuona Vivaldi all'inizio dello scrutinio). E' una scuola che cade a pezzi osservata dal punto di vista dei professori, un film corale in cui gli studenti stanno insolitamente in secondo piano: Cardini, quello messo peggio di tutti, è il più nominato ma è anche quello che non si vede mai. Una scuola disastrata in cui Nino, ogni tanto, come Silvio Orlando ha provato a versare gocce di umanità che sono state in parte raccolte, anche da chi come me stava sempre nell'ombra.

Viste le continue mail che ci mandavi anche dopo la nostra uscita dal liceo, piene di saluti in un siciliano troppo stretto per essere capito pienamente da un milanese, ovunque tu sia magari questa la leggi: non avendoti salutato dieci anni fa, lo faccio ora così. Forse mi vedessi adesso diresti "E spegni quella sigaretta".

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