Che il primo lavoro discografico rappresenti una sorta di salto nel buio per qualsiasi gruppo o solista, è cosa risaputa il qualsiasi ambito musicale, e il jazz non fa eccezione.
Spesso si grida all’avvento del nuovo Messia, che schiuderà la strada ad una nuova era di euforie jazzistiche, e altrettanto spesso si stroncano giovani ragazzi che onestamente non lo meritano affatto.
Chromatism è l’opera prima di una giovane promessa del panorama jazzistico nazionale, che risponde al nome di Danielle Di Majo, e che suona il sassofono.
Il suo curriculum è di tutto rispetto, il palmares dei premi vinti nei vari concorsi italiani, e delle illustri collaborazioni alle quali ha preso parte, metterebbe un certo timore a qualunque “addetto ai lavori”, come si dice adesso. Ed è proprio dalla vittoria di uno di questi concorsi, "Incroci Sonori Jazz 2004", di Moncalieri, che è scaturita l’opportunità, per il Danielle Di Majo Quartet, di incidere questo disco, grazie al coraggio eroico, a questo punto, di un’etichetta nostrana come la Philology, che evidentemente ha deciso di guardare oltre l’incenso che circonda i soliti noti del panorama jazzistico italiano.
Ne è venuto fuori un lavoro di pregevole fattura, ben suonato e ben registrato, che nella sua onestà rivela la possibilità di sviluppi futuri molto vasti.
Le composizioni sono tutte del pianista, Michel Zanoboli, eccezion fatta per la stupenda ballad Soul Eyes, di Mal Waldron, qui in un’interpretazione fedele e sentita. Il disco si apre con la title track, un blues minore, che rappresenta un po’ la croce e delizia di qualsiasi solista, la Di Majo se la cava lo stesso alla grande, con uno sfoggio di tecnica comunque sostenuto da una vena melodica sempre percepibile. Da sottolineare la felice vena compositiva di Zanoboli, che secondo me si esprime al massimo nel 3/4 di Midnight Sun, pezzo veramente bello, quasi quasi da inserire nel real book.
Si prosegue con la sommessa bossa Nine, dove la leader si esprime al meglio anche al sax soprano, in un solo molto lirico, e Zanoboli contralta con la sua brillante tecnica pianistica, facendo chiara la sua solida preparazione classica, pare di vederne le mani, con le dita molto vicine ai tasti e i movimenti molto misurati.
Da sottolineare senz’altro la lucidità e la precisione della ritmica, composta da Marco Piccirillo al contrabbasso e da Ermanno Baron alla batteria, altri due giovani ma già apprezzati musicisti romani, che viene fuori bene in Homepage, chiusa tra l’altro da una serie di serrati scambi tra sax, contralto stavolta, e pianoforte. Desta curiosità, infine, la polimetrìa di Real Changes, di sapore quasi Monkiano, con una sezione soli molto bop.
Insomma, un disco che rappresenta bene un sottobosco di giovani musicisti pronti a dire la loro in un ambito musicale non propriamente commerciale, ma, proprio per questo, molto più affascinante e ricco di spunti rispetto al piattume organizzato da un manipolo di guastatori che da un po’, in definitiva, si preoccupano di decidere i gusti della gente privandola di qualsiasi necessità neuronale.
Certo, si tratta di un’opera prima, e come tale non è esente da pecche, io a mio modesto parere direi che la ritmica a volte avrebbe potuto osare un po’ di più, e che certe cascate di note si sarebbero potute evitare, ma rappresenta un punto di partenza molto chiaro e volto ad una ricerca vera della proria identità musicale.
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