Danilo Perez è un pianista Panamense che vanta una lunga serie di collaborazioni (Dizzy Gillespie, Wynton Marsalis etc. ) ed un modo di suonare il piano non comune. I modelli di riferimento sono difficilmente identificabili ed ogni paragone è probabilmente inutile.

La padronanza tecnica sulla tastiera è fuori discussione, almeno quanto le sue doti di compositore. L'orgoglio per l'appartenenza ad una nazione che è per sua natura un punto di contatto fluido e crocevia culturale globale traspare da tutti i suoi dischi: "The journey" che narra di schiavi portati dall'Africa sino alle coste centro-sudamericane oppure "Motherland" che non necessita di commento, ovviamente! Oppure "Panamonk" in cui si intuisce chiaramente il riferimento congiunto ai due grandi temi cui egli fa capo: la sua terra, con i suoi ritmi, e lo stile unico ed irripetibile di Monk.
Questo disco è del 2003 e rappresenta un momento calmo ed introspettivo nella vita di Danilo; mentre i precedenti dischi forse vedevano una maggior pretenziosità di proposta ed una ricerca spasmodica di soluzioni musicali innovative o comunque non solite, qui troviamo un Perez più riflessivo e rilassato; maturo ma comunque niente affatto disposto a facili concessioni, ed è per questo che pur essendo forse il meno rappresentativo della figura dell'artista, è forse il più adatto per presentarlo e diffonderne la musica e le sue doti pianistiche. Bellissimo album.

1) "Native soul" È l' intro di Perez medesimo. Secca e ben congegnata apertura per un disco di rara bellezza; tre soli brani di suo pugno in quest'opera (1, 3 e 6). Delicata suonata "in due". Già si capisce con che artista fine, intelligente, personale ed elaborato si abbia a che fare.
2) "Gracias a la vida" di Violeta Parra è resa con un accompagnamento scarno, impreziosito dalle steel pan. Si dispiega man mano un modo di suonare il piano che ha pochi eguali. Stop e riprese. Concentrazione e senso della composizione in tempo reale, rielaborando materiale noto. L'ultimo periodo con Wayne Shorter è stato probabilmente determinante per affinare la spiritualità dell'uomo. E conseguenti ricadute sull'opera.
3) "… till then" La voce di Lizz Wright (autrice del testo) è calda e guida lo sviluppo di un bel brano che si farà sicuramente ricordare anche dopo cessato l'ascolto del disco. Dopo l'esposizione del tema il piano risponde ed il dialogo con la voce riprende. Bel duo di voci, sottolineato discretamente dai due ritmi.
4) "Overjoyed" Questo pezzo di Stevie Wonder è reso in maniera sommessa ma pervicace. Il suono e l'approccio al piano di Danilo Perez sono più tendenti al ritmo che alla elaborazione introspettiva fine a se stessa: le radici centroamericane sono evidenti e sempre sullo sfondo, quale che sia il materiale lavorato.
5) "Trocando em Miudos" È una composizione di Chico Buarque de Hollanda in cui il tema viene eseguito e sempre tenuto sullo sfondo dal contrabbasso di Patitucci, mentre in primo piano stavolta c'è, nella prima parte, il sax alto di Donny Mc Caslin. Variazioni di tempo, sincopati aprofusione e beat da tenere sempre ben presente in mente: implicato e perso nel magma di suoni. Comunque la costruzione regge benissimo e marcia con progressione inevitabile e consequenziale. Freudiano omaggio a Monk.
6) "Improvisation on red" è una cosetta breve di Danilo solo che spezza il disco in due. Deve molto alle Children's song di Chick Corea.
7) "Paula C". Questo è un pezzo di Ruben Blades. Molto romantico, forse è quello che rende meglio l'immagine del pianista Perez a tutto tondo. Brano che va avanti per oltre sette minuti, consentendo uno sviluppo di più ampio respiro al discorso. Ben Street ed Adam Cruz a basso e batteria ben si adattano alle frasi, talvolta a burst, talaltra più lunghe del leader.
8) "Rabo de nube", di Silvio Rodriguez, parte quasi come una marcetta popolare per girarsi subito ed indossare i panni della ballad intensa e vissuta. È forse il punto di contatto più vicino con Brad Mehldau. Ma l'analogia finisce qui. La personalità del tocco e del fraseggio sono ben contraddistinte e mature in Perez. Non facile a contaminazioni di stile. E quindi in grado di passare dentro a tutti i modelli con la sicurezza di ritrovare il proprio linguaggio.
9) "Fiddle and the drum" è una vecchia canzone di Joni Mitchell che viene esplorata in rispettosa e concentrata solitudine di solo piano sino a metà, ove entra la voce calda e matura della Wright che interpreta, scarna e sicura, le parole; saggiandole ben bene e scagliandole come dardi. Accordo basso e grave del piano a finire.
10) "Vera Cruz". È un noto cavallo di battaglia di Milton Nascimento, reso con rara maestria dal quartetto (sax). A chiudere un bellissimo album.

Meglio: stupendo e delicato.

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