Mi cimento nella prima recensione di un libro in vent’anni di Debaser.
Dario Fabbri si è fatto conoscere al grande pubblico come personaggio televisivo, prima ancora che come scrittore, grazie ai suoi interventi di consulenza al telegiornale di LA7 su temi di geopolitica. Complici le manie imperialiste di Putin e del popolo russo, Fabbri ha avuto occasione di mostrare tutta la sua preparazione e la notevole loquacità che lo contraddistinguono. Proprio la capacità divulgativa rappresenta il tratto distintivo del Fabbri televisivo: sempre sicuro di sé – forse anche troppo – deciso e preciso in ogni affermazione, spesso di grande interesse.
Ho letto il libro sull’onda di questo “innamoramento” mediatico, per verificare se le stesse virtù emergessero anche nella scrittura. La risposta, purtroppo, è negativa. Sotto la pelle del mondo ha l’ambizione di introdurci a un sapere solitamente precluso alla maggioranza, capace di spiegare le dinamiche che si manifestano nelle nazioni moderne e nei popoli che le compongono.
Sia chiaro: non ho la cultura sufficiente per giudicare nel merito i riferimenti storici, etnici o sociologici di cui Fabbri fa ampio sfoggio. Tuttavia non posso esimermi dall’esprimere un parere sulla forma con cui questa mole di informazioni viene offerta al lettore.
Difetto principale: la costante ricerca della frase a effetto, ripetuta decine di volte nello stesso capitolo, talvolta addirittura nello stesso periodo. Qui Fabbri tradisce la sua natura di divulgatore televisivo e social più che di vero scrittore.
L’effetto scenico si accompagna a un uso insistito e pesante di termini ricercati, ripetuti anche quando la prosa richiederebbe un sinonimo per alleggerire. Preparatevi dunque a una raffica di parole come: revanscismo, irredentismo, era volgare (chissà cosa gli costava scrivere semplicemente “d.C.”), eccetera.
Il capitolo sull’India è emblematico della confusione espositiva: l’ho terminato con la netta sensazione di saperne meno di prima. Un pot-pourri di popoli, idiomi, religioni e varianti religiose, eventi presentati senza adeguati punti di riferimento cronologici. Forse utile a chi vuole approfondire perché già conosce l’argomento. Ma siamo sicuri che uno storico legga Fabbri? Non saprei.
E veniamo ai due messaggi di fondo, quelli che coglie il lettore attento. Il primo, condivisibile e onnipresente tra le righe, è che la storia delle nazioni decisive nello scacchiere internazionale sia stata costruita dalla commistione di una miriade di etnie e popolazioni, unite per lo più da uno spirito comune, quasi sempre imperialista.
Il secondo, meno condivisibile, è la natura decadente e post-storica dell’Occidente, il nostro Occidente. Secondo Fabbri non contiamo più nulla: stiamo inesorabilmente invecchiando, non rappresentiamo più niente, e nessuno in futuro seguirà il nostro modello sociale ed economico (il che, forse, non è nemmeno un male). La sensazione ultima è quella di un pianeta diviso, incapace di condividere valori comuni, in mano a popoli alla costante ricerca di un leader che li riscatti e li riporti a un glorioso passato – che in realtà non è mai esistito, o di cui resta solo un vago ricordo.
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