Il 2013 non sarà sicuramente ricordato come l'anno del folk apocalittico. L'operazione di riciclaggio dei Death in June di “The Snow Bunker Tapes” e il bel doppio album dei nostrani Albireon “Le Fiabe dei Ragni Funamboli” sarebbero rimaste in questo ambito le uniche testimonianze degne di nota, se non fosse uscito l'ultimo Darkwood a risollevare le sorti del genere.
Con “Schicksalsfahrt” (complimenti per il titolo, come al solito semplice e facile da trascrivere e pronunciare) l'irriducibile Henryk Vogel giunge al traguardo dell'ottavo full-lenght, e lo fa nel modo migliore: consegnandoci quello che ad oggi rimane probabilmente il suo più bel lavoro.
“Schicksalsfahrt” é un concept sul volo (l'album è emblematicamente dedicato a due protagonisti dell'aria: l'aviatore/scrittore francese Antoine de Saint-Exupéry, autore de “Il Piccolo Principe”, e Amelie Hedwig Beese, la prima aviatrice nella storia della Germania), in cui il tema viene filtrato secondo la lente di quelli che sono gli elementi cardine della sofferta poetica di Vogel: una forte introspezione, l'amara contemplazione dell'odierno, lo sguardo rivolto verso il passato, la storia e le tradizioni della propria terra di origine.
Il carattere “aereo” delle tematiche trattate è tangibile anche a livello musicale, soprattutto nella levità, nella leggerezza, nell'impalpabilità di certi episodi (sensazione dovuta anche alla scelta di recuperare la lingua inglese – impiegata in ben sette brani su dieci – la cui fluidità conferisce una rinnovata scorrevolezza al tutto). Per il resto, non si registrano particolari stravolgimenti di stile nel sound collaudato del menestrello di Dresda, che anzi torna in una veste più classica che mai, affinando il modus operandi che era stato inaugurato con “Notwendfeur” (2006) ed ulteriormente perfezionato poi con il successivo “Ins Dunkle Land” (2009): il proposito, cioè, di eliminare i suoni sintetici (utilizzati negli album precedenti) ed impiegare strumenti veri e propri, al fine di confezionare un folk sempre più credibile e dai suoni cristallini. La musica dei Darkwood continua così a vivere essenzialmente della voce e della chitarra di Vogel, qua e là accompagnato da sparuti interventi di archi (viola e violoncello), fisarmonica e controcanti femminili. Ma l'ulteriore passo in avanti sul piano formale, unito ad una scrittura di alto livello, fanno di “Schicksalsfahrt” un'opera nel suo piccolo sensazionale, imperdibile per chiunque ami il folk apocalittico ed in particolare la sua declinazione teutonica (Forseti, Sonne Hagal, Orplid, tanto per fare i soliti nomi).
Ma a rendere tanto prezioso questo lavoro, è un pugno di brani veramente sopra la media. Fra questi va sicuramente annoverato quello d'apertura, la bellissima “Secret Places”, travolgente, epica, indomita, perfetto connubio fra Death in June, Sol Invictus (per le pennate di basso distorto in stile Karl Blake) ed ovviamente Fire+Ice, da sempre ispirazione di centrale importanza per Vogel. Gli insegnamenti di Ian Read rimangono inevitabilmente al centro della visione artistica del Nostro (il suo fare dimesso, crepuscolare, severo è di fatto collegabile all'opera del maestro inglese), anche se in questa release emergono continuamente elementi che rievocano il fantasma della Morte in Giugno. A tal riguardo si citano volentieri “Nightwind”, che con il suo andamento festante, costellato da rintocchi di xilofono, ricorda assai certi umori della produzione recente di Douglas Pearce (al limite del plagio di “Our Ghosts Gather”, a dimostrazione di quanto il padre del folk apocalittico continui, anche in fase di ispirazione calante, ad influenzare la vasta compagine dei suoi discepoli), e il piccolo capolavoro “Dream of Flowers”, posta in chiusura, che chiama in causa ancora Pearce, ma questa volta quello vero, quello di “But, What Ends When the Symbols Shattered?”. Ad essere onesti, il brano non avrebbe sfigurato nemmeno in un “Songs of Love and Hate” di Leonard Cohen, ed è tutto dire sulla maturità cantautoriale raggiunta da Vogel in questo lavoro.
Il resto dell'album si mantiene a livelli comunque alti, ed anche laddove i brani nel loro susseguirsi possono apparire eccessivamente simili, è quella cura adoperata negli arrangiamenti di cui si diceva sopra che sostiene in piedi il lavoro. Gioielli come “Fliegergedicht” (formidabile il dinamismo conferito dagli inserti di archi, svolazzanti in intrecci che denotano un grande affiatamento fra Vogel e i membri dell'ensemble), “Der Letzte Fug” (anche qui da segnalare un bel lavoro dietro al mixer nell'amalgamare fisarmonica e i suoni lisergici delle tastiere) e “Silence at Night” (ballata di indicibile bellezza, levigata anch'essa da tastiere che, senza soffocarla, la traghettano verso una dimensione soffusa di sospensione onirica) sono lì a dimostrare come la formula adottata da Vogel, pur nella sua semplicità, sia un involucro continuamente rivitalizzato da un'inesauribile ispirazione.
C'è spazio anche per una piacevole variatio, e non mi riferisco alla paganeggiante “Nightshade” (oscuro cerimoniale dominato da percussioni ed un tema reiterato di harmonium, episodio che rientra pur sempre nello schema della folk-ballad), ma all'atipica “Scattered Clouds”, unico momento in cui affiora l'eredità di un album come “Ins dunkle Land”, che nella sua porzione finale aveva tentato di intavolare un sound più aspro e marziale: il brano in questione, l'unico ove non compare la chitarra acustica, è un esperimento (simile a certe cose fatte dai connazionali Orplid) che sembra orientarsi verso territori post-punk e che si differenzia nettamente dal resto dell'album per il predominare del basso e per una chiusura affidata inaspettatamente alla batteria.
Ma al di là del singolo dettaglio, è nell'atmosfera globale che l'album funziona: un lavoro che scorre senza intoppi e che sa mettere a segno più di un colpo vincente. Alla stregua del vino pregiato, potremmo concludere, la musica dei Darkwood, invecchiando, sembra migliorare.
E probabilmente “Schicksalsfahrt” è quanto di meglio il 2013 abbia saputo offrire in materia di neo-folk.
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