L'UOMO CONTRO LA MACCHINA. Non sono sicuramente un genio dell'informatica. Certo, praticamente passo la mia intera giornata al computer. Mi considero un discreto utente e nei limiti delle mie necessità, in particolare quelle lavorative, mi disimpegno nella programmazione e il settaggio di applicativi di base e gestionali. Niente che comunque possa fare di me neppure lontanamente un 'tecnico'. Un tecnico del settore.

Fondo tuttavia il mio ragionamento su quelle che sono comunque rilevazioni empiriche pure inevitabili e che consistonon nel constatare il funzionamento delle cose, e acquisizioni conoscitive da mero osservatore del mondo che ci circonda, che più che una maniera valida per procedere ritengo sia anche l'unica attendibile. Se la 'fonte' sono oppure devo essere io e in questo caso specifico.

Supponiamo che un computer possa oggi o in un prossimo futuro contenere miliardi di informazioni. Di più. Molto di più. Miliardi di miliardi di informazioni. Un numero incredibilmente elevato e che come tale potrebbe essere idealmente considerato infinito. E aggiungiamoci che trattandosi nel caso di una macchina all'avanguardia questa si aggiorni continuamente e acquisisca flussi di informazione ininterrotti. Ecco, in questo caso potremmo in un certo senso sicuramente considerare che il numero di informazioni di cui questa entra in possesso sia per forza in qualche modo infinito o prossimo all'infinito, lo diviene comunque con il passare del tempo e se questo non ha una fine e la macchina è immortale, allora...

Messa in questi termini, il confronto tra l'uomo e la macchina è per forza impari. Noi uomini abbiamo nella nostra individualità un limite cui evidentemente non sarebbe sottoposta questa macchina, cioè la nostra mortalità. Il numero di informazioni e di nozioni di cui questa entra o è già in possesso nel momento stesso in cui nasce il 'confronto', è lungamente superiore a quello del singolo individuo. Magari potresti essere un intellettuale e un grandissimo lettore, ma, per dire, non potresti comunque mai avere archiviati nella tua memoria lo stesso numero di testi di un elaboratore e/o comunque non sapresti cogliere, pure con le opportune specifiche, un momento particolare e di una singola opera.

Una qualunque macchina, e uso il termine macchina perché potrei riferirmi a un computer oppure dato che si parlerebbe di fantascienza: a un robot, se programmata in un determinato modo può riuscire a fare dei collegamenti tra le informazioni in proprio possesso e se vogliamo, può a questo punto anche elaborare dei veri e propri pensieri e quelle che sono delle azioni. Sono cose che succedono già del resto, non sto parlando di nessuna ipotesi remota e possibile nel tempo futuro. È chiaro che, perfezionando il meccanismo, potremmo alla fine anche creare delle macchine che potrebbero essere considerate 'perfette' da questo punto di vista. Il loro ragionamento meccanico, basato su una acquisizione di dati infinita e che comunque potrebbe contenere benissimo tutto lo scibile umano in ogni campo possibile, se pilotato anche secondo quelle che sono delle 'regole' e magari anche queste derivante proprio dalle informazioni di cui questo è in possesso, potrebbe apparire in qualche maniera ineccepibile. Perfetto.

I ROBOT SONO CATTIVI? Non voglio entrare in quella che è la cosiddetta sfera relativa ai sentimenti e se una macchina possa in qualche modo provare delle emozioni e se queste siano eventualmente vere emozioni oppure artificiali. Il robot è sicuramente una macchina e se artificiale significa che è un 'artificio' e cioè qualche cosa che sia stato costruito dagli uomini, è evidente che le sue emozioni, ammesso una macchina possa provare delle emozioni, siano per forza artificiali. Ma significa forse questo che avrebbero per tale ragione una valenza inferiore a quella che possono provare gli uomini? Del resto noi stessi, possiamo definire ogni nostra emozione come autentica? In un certo senso sì. Voglio dire, se proviamo qualche cosa, questo deve essere per forza vero. Ma allo stesso tempo anche le nostre stesse emozioni possono essere indotte da tutta una serie di condizionamenti e che pure se non sono stati inseriti nel nostro cervello da un programmatore, ci sono state inculcate nella testa e questo sin dalla origine della vita dell'uomo. Pensiamo ad esempio a paure ancestrali e che non avrebbero nessun senso di esistere. Quella per i serpenti ad esempio. Viviamo in complessi urbani dove non c'è un filo d'erba e dove succede praticamente di tutto, che senso ha la paura per un animale come il serpente? Ma anche la stessa paura per eventi atmosferici come la pioggia costituiscono in qualche modo qualche cosa di indotto e sin dalla origine dei tempi. Questi sono solo esempi e chiaramente si potrebbe andare avanti all'infinito se poi si considerasse ogni singola casistica per quello che riguarda ogni individuo in sé stesso.

Ma questa questione anche non è molto rilevante, non in questo momento, il punto infatti è: se si dovesse emettere un giudizio, un giudizio di qualsiasi tipo, si potrebbe considerare quello di una macchina come un giudizio superiore a quello di un uomo? Chiaramente non stiamo parlando di nessun individuo nello specifico, ma di un 'uomo' che in quanto tale e nei suoi limiti e possibilità, rappresenti l'intero genere umano. Forse per rispondere a questa domanda, dovremmo anche domandarci del contesto, ma soprattutto di quali siano i criteri per emettere un qualche tipo di giudizio.

E a questo punto è evidente che l'uomo, come individuo, emette i propri giudizi e le proprie 'sentenze' relativamente quello che è il suo bagaglio di conoscenze e di esperienze personali, e questo forse potrebbe farlo anche una macchina e in una maniera molto più complessa facendo una sommatoria di tutte le infinite conoscenze e esperienze archiviate all'interno della sua memoria cibernetica, ma può bastare solo questo per poter dire che un giudizio o una sentenza sia giusta? Ha l'uomo qualche cosa in più che una macchina non può possedere? Ed è qui che subentra un elemento che una macchina di questo tipo, del tipo che abbiamo descritto, non può possedere, cioè l'individualità.

Individualità che non è un fattore irrilevante, ma al contrario decisivo in quella che è l'espressione di un giudizio di qualsiasi tipo e pure nel caso come quello rappresentato da questo episodio di Masters of Science Fiction e nel quale questo deve essere emesso proprio relativamente la colpevolezza di un uomo a processo presso una 'corte' composta da un robot collegato a un computer contentente praticamente un archivio di informazioni infinite. Non solo, considero che l'individualità può e deve essere un fattore decisivo e non solo per quello che riguarda chi deve emettere 'giudizio' ma anche per chi vi è sottoposto.

LITTLE BROTHER. In questo nuovo episodio di Masters of Science Fiction, intitolato 'Little Brother' e diretto dalla regista americana Darnell Martin (originaria del Bronx, New York City) e tratto da un racconto dello scrittore Walter Mosley, il tema principale è proprio quello costituito dal tema della giustizia e argomentato in quella che è una storia nella quale questo, l'emissione del giudizio, sia stato delegato alle macchine.

Prima di discutere la trama del film, merita due parole Walter Mosley, l'autore del racconto omonimo e da cui è stato tratto questo short-movie. Nato a Los Angeles, California, nel 1952, Walter Ellis Mosley, questo è il suo nome completo, è principalmente noto per essere un autore di genere hard-boiled. Il suo personaggio di maggiore successo è Easy Rawlins, un investigatore privato nero residente a Los Angeles e veterano della seconda guerra mondiale e per il quale Mosley si è chiaramente ispirato all'indimenticabile Philip Marlowe di Raymond Chandler. Da uno dei libri dedicati a questo personaggio è stato tratto anche un film, con Denzel Washington nella parte di Rawlins, e intitolato 'Devil in a Blue Dress' (1995) con la direzione del regista Carl Franklin. Cionondimeno, Mosley si è negli anni disimpegnato in generi diversi tra cui anche il racconto erotico e la non-fiction e ovviamente la fantascienza.

'Little Brother' comincia nei sotterranei di una grande città non meglio identificata e in un'area che viene chiamata 'Common Ground'. Chi vive nei sotterranei, i residenti di 'Common Ground' non possono avere libero accesso all'aria aperta e comunque entro uno spazio limitato e per un tempo limitato di quindici minuti ogni sei mesi. La pena per una eventuale fuga o tentativo di fuga da 'Common Ground' è la morte.

Il protagonista è il giovane Frendon Ibrahim Blythe (interpretrato da un bravo attore come Clifton Collins Jr) che del resto di morire non ha alcuna paura, preferendo infatti la morte a questo surrogato della vita che è l'esistenza a 'Common Ground', così, durante quelli che sono i suoi quindici minuti di libertà, decide di fuggire e si avventura per la città, che appare completamente devastata come nei paesaggi che sono tipici di ambientazioni post-apocalittiche, alla ricerca di un certo Augustus, un uomo che dovrebbe insegnargli a essere libero. Ma le circostanze saranno contro di lui e Blythe si ritroverà presto trattenuto e sottoposto a processo accusato oltre che della fuga da 'Common Ground' (che di per sé basterebbe per la condanna a morte) anche di avere commesso tre omicidi, crimine di cui in realtà egli non si è macchiato.

La maggior parte del film riguarda lo svolgimento di questo processo in una pantomima che fa pensare a quelli che furono i grandi oratori dell'età classica e dove si confronteranno Blythe e il robot che è deputato a emettere il giudizio e far rispettare quella che è considerata la giustizia, in un mondo dove questa viene (apparentemente) fatta mantenere solo dalle macchine. Blythe rifiuterà da subito di farsi difendere da quello che dovrebbe essere il suo difensore, che sarebbe un altro robot e in quanto tale collegato agli stessi archivi computerizzati di chi lo deve giudicare e per questo inevitabilmente portato a adoperare gli stessi parametri di valutazione e giudizio, e alla fine riuscirà a dimostrare anche la sua innocenza e mettere in crisi il sistema e causando quello che appare un precedente unico da quando è stato introdotto questo sistema.

Ma lo sapete come vanno le cose. Qualche giorno fa, commentando quello che scrivevo su 'Robot & Frank', un amico ha scritto, riporto più o meno fedelmente le sue stesse parole, che, 'I robot non sono cattivi, fanno quello che gli uomini gli dicono di fare.' Ed è sicuramente così che oggi funzionano le macchine e i robot usati ad esempio all'interno dei processi produttivi nelle fabbriche più all'avanguardia e che ci hanno fatto parlare di neo-luddismo, un argomento che tuttavia in questo caso specifico passa in secondo piano. Quello che dico è, sarebbe lo stesso se questi dovessero svolgere altre funzioni non strettamente produttive e riguardanti invece come in questo caso l'emissione di una sentenza giudiziaria?

NESSUNO MI PUÒ GIUDICARE. A proposito, ma emettere dei giudizi in via generale, secondo voi è una cosa giusta oppure sbagliata? Chi è che cantava, 'Nessuno mi può giudicare, nemmeno tu'? Caterina Caselli, no? Sì, doveva essere lei. Ecco, in via generale si ritiene che emettere dei giudizi sia una cosa sbagliata. In fondo è vero, cioè pensiamo semplicemente a quando giudichiamo e diciamo qualche cosa su di una persona, voglio dire, che cosa ne possiamo veramente sapere in fondo della vita degli altri? Non ne possiamo sapere un cazzo. La nostra conoscenza di ogni singolo individuo o fatto è un fatto chiaramente individuale e nostro e per quanto tale, limitato. Cionondimeno emettiamo comunque tutti dei giudizi e questa cosa non posso considerare sia qualche cosa di sbagliato, ma al contrario un automatismo tipico della mente umana e forse dell'intero mondo animale.

Abbiamo bisogno di acquisire delle informazioni. Certo, queste vengono poi acquisite, filtrate e archiviate in maniera differente a seconda dell'individuo, ma vi dico che in fondo non è neanche sbagliato 'giudicare', anzi ritengo in qualche modo doveroso avere una propria idea su tutte le cose che succedono e perché no, anche su tutte le persone che incontriamo. In qualche modo questo, pensandoci, è forse un atto anche di grande considerazione nei confronti degli altri. Che considerazione avremmo di qualcuno che, 'Non ho niente da dire su di lui/lei.' Oppure quante volte sentiamo frasi del tipo, 'Non me ne importa niente di lui/lei' e/oppure 'Non mi importa che cosa pensa.' Non voglio fare del confronto con gli altri qualche cosa di ossessivo, ma allo stesso tempo è chiaramente insano pensare che qualcuno possa non avere nessuna opinione su niente e nessuno o comunque fregarsene. Che modo di vivere la propria vita (individuale e in società) sarebbe questo? Equivarrebbe in qualche modo a non vivere proprio. A evitare.

Il tema della 'giustizia' penso sia uno di quelli più ricorrenti all'interno della nostra società e questo forse sin dalla notte dei tempi. Esso è chiaramente mutevole e forse nessuno come questo concetto è mutevole di persona in persona e dove ognuno usa i propri parametri di valutazione e qualche volta agisce più secondo quello che si potrebbe definire come 'interesse personale' che secondo quelli che dovrebbero essere i principi del vivere comune.

Naturalmente questo è allo stesso tempo un principio variabile a seconda del posto in cui ci si trova, ogni paese ha un proprio sistema giudiziario ad esempio e ognuno può ritenere secondo il proprio bagaglio personale di conoscenze e di esperienze e secondo la propria moralità, se e quanto un sistema giudiziario sia considerato accettabile oppure no. Questo è un principio che è variabile nel tempo e nel tempo abbiamo visto la 'giustizia' essere considerata ed esercitata in diversi modi.

Sì, perché 'giustizia' in effetti in qualche modo significa anche potere. Il potere giudiziario, oltre che costituire in via formulare il rimando al complesso degli organi dell'autorità giudiziaria (o magistratura) e comprensivo dei giudici e dei pubblici ministeri secondo il principio della separazione dei poteri, è o comunque appare ancora fermamente nell'immaginario pubblico non solo come qualche cosa che riguardi l'amministrazione e il regolare funzionamento di uno stato e di una nazione, di una comunità sovranazionale, all'interno di una società. Ci sono altri contenuti quasi magici e in qualche maniera oscuri che qualcuno vuole vedere nel concetto di 'giustizia' e nell'esercizio del potere giudiziario.

L'argomento, è evidente, quello relativo il funzionamento del potere giudiziario nel nostro paese, è sempre attuale ancora oggi e questo in particolare per ragioni politiche e dove queste si intrecciano con contenuti anche di tipo morale, e questo ovviamente può succedere anche per quelle che sono ragioni di convenienza e utilitaristiche. No, non direi neppure che il tema sia oggi meno attuale che durante quello che fu il ventennio berlusconiano. Quello che mi domando, cionondimeno, è in ogni caso come si possa pensare che a qualche cosa come l'esercizio del potere giudiziario si voglia attribuire del potere politico e quando dico questo non intendo che il potere giudiziario abbia del potere politico, voglio solo dire che si pretende che questo abbia del potere politico e questo sia quando lo si attacca pretestuosamente, che quando si ritiene sia questo a dovere risolvere e sciogliere nodi che invece in quanto tali non possono che essere affrontati solo veramente con l'esercizio della politica intesa per quello che è: cioè prendere delle decisioni individualmente e/o comunque poi collettivamente. Il resto è voler pretendere che qualche cosa debba succedere grazie all'intervento di un deus ex machina e una società che funziona in questo modo, è chiaro che ha qualche grossa lacuna, un grosso vuoto di tipo sociale che deve essere colmato, siano i giudici degli uomini oppure delle macchine.

Quotes.

1. 'Con il crescente aumento delle capacità delle macchine, verrà il tempo in cui considereremo il loro giudizio superiore al nostro.' (Stephen Hawking)

2. 'Ricorda. Tu hai una mente. E finché potrai pensare, non ti batteranno.' (Mary)

3. 'La libertà nel mondo moderno è solamente una questione di documenti.' (Augustus)

4. 'Stammi a sentire, persona Blythe. Tu non sei niente, sei meno di niente, sei meno di uno scampolo d'uomo. Il bersaglio della loro derisione. Ma anche l'uomo più piccolo per loro è comunque un pericolo.' (Augustus)

'Ma tu sei morto Augustus, ti hanno ucciso.' (Frendon Ibrahim Blythe)

'Morto non si dice, ripeteva mia madre.' (Augustus)

'Anche io morirò. Loro mi uccideranno sulla sedia con l'occhio.' (Frendon Ibrahim Blythe)

'Tu puoi batterli. Tutto quello che devi fare è scrollare le spalle e saranno loro quelli che cadranno. La verità non muore mai, caro Blythe, finisce solo sotto terra. E si fa strada come i vermi, il cibo e il suolo.

'La sotterrano, ma non muore mai.' (Augustus)

5. 'La giustizia non è solo la sfera d'azione della mente, ma anche la sfera d'azione del cuore.' (Stephen Hawking)

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